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Dopo i raid su Fordow, Natanz e Isfahan, il presidente parla di “demolizione totale”. Le agenzie di intelligence, però, parlano solo di un rallentamento

Donald Trump è certo: il programma nucleare iraniano è stato “obliterato”. Dopo i bombardamenti condotti con bombardieri B-2 e missili Tomahawk sui siti di Fordow, Natanz e Isfahan, il presidente degli Stati Uniti ha parlato di un’operazione “definitiva”, escludendo qualsiasi possibilità che Teheran possa ricostruire le proprie capacità nucleari. “Quei posti sono stati demoliti, sono andati”, ha dichiarato prima del vertice Nato all’Aja, dopo la tregua che ha posto fine alla guerra.

Le parole del presidente, tuttavia, non trovano riscontro pieno nelle valutazioni dell’intelligence americana. Secondo quanto riportato dalla CNN, fonti riservate dell’intelligence del Pentagono e del CentCom parlano di un rallentamento del programma, non di una sua eliminazione. Le centrifughe iraniane sarebbero in gran parte intatte, e i depositi di uranio arricchito sarebbero stati messi al sicuro prima del raid. Il danno stimato? Un ritardo di pochi mesi.

Anche il Washington Post conferma questa versione, facendo riferimento a un rapporto classificato secondo il quale gli attacchi non avrebbero colpito tutti i componenti chiave del programma. L’Iran, informato o previdente, avrebbe trasferito parte delle scorte nucleari prima dell’attacco, riducendone l’impatto effettivo.

La Casa Bianca respinge le critiche. La portavoce Karoline Leavitt ha definito “assolutamente sbagliata” la valutazione dell’intelligence, accusando un “anonimo perdente” di averla fatta trapelare ai media per screditare il presidente e i piloti che hanno eseguito l’operazione. “È stato un successo totale, e la CNN dovrebbe scusarsi con i nostri militari”, ha dichiarato Trump.

Anche l’intelligence israeliana mostra cautela. Secondo il Times of Israel, le autorità di Tel Aviv ritengono che il programma iraniano sia stato rallentato, ma non azzerato. Una stima che parla di un ritardo di “diversi anni”, ma non di una distruzione definitiva.

Infine, anche in sede Onu il linguaggio è prudente. L’inviata statunitense ad interim alle Nazioni Unite, Dorothy Shea, ha affermato che l’operazione ha “efficacemente ridotto la capacità dell’Iran di produrre un’arma nucleare”, sottolineando che i raid si sono svolti “in conformità con il diritto all’autodifesa collettiva”.

Ma Trump non arretra. Convinto della riuscita totale della missione, rilancia le critiche ai media: “Questi network sono spazzatura. I piloti hanno fatto il loro lavoro meglio di quanto si potesse immaginare. Hanno centrato il bersaglio nel buio, senza luna. Quei siti sono andati, punto”.

In un contesto ancora teso, il contrasto tra la narrativa politica e le valutazioni tecniche continua a delineare scenari incerti sul futuro del programma nucleare iraniano.

 

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