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770.000 persone sono morte nel mondo a causa dell’HIV nel 2018: è il preoccupante dato che emerge dal Global Aids Update 2019, presentato oggi a Eshowe in Sud Africa dall’UNAIDS, il Programma delle Nazioni Unite per l’HIV/AIDS. L’utilizzo tempestivo di efficaci strumenti diagnostici e farmaci per la cura dell’HIV/AIDS potrebbe prevenire la maggior parte di queste morti, ma dal 2014 il numero annuale dei decessi è diminuito solo in minima parte, avverte Medici Senza Frontiere (MSF).

Anche se 2 milioni di persone in più hanno iniziato una terapia antiretrovirale (ART), tutte le parti coinvolte devono fare di più per affrontare le infezioni mortali che causano i decessi legati all’AIDS, a partire dalla tubercolosi e dalla meningite criptococcica.

“Negli ospedali supportati da MSF in Repubblica Democratica del Congo, Guinea, Malawi e altri paesi, molte morti si verificano nelle prime 48 ore successive al ricovero” spiega il dottor Gilles Van Cutsem, coordinatore di MSF per l’HIV/AIDS. “I pazienti arrivano molto malati, spesso con infezioni opportunistiche gravi come la tubercolosi, la meningite criptococcica o il sarcoma di Kaposi. Quando arrivano, a volte è troppo tardi per salvarli. Questo accade perché non sono stati diagnosticati in tempo o perché non sono riusciti ad accedere ad una terapia salvavita”. Le cause dei decessi sono dovute principalmente al ritardo nella diagnosi, all’interruzione del trattamento, a fallimenti virologici e immunologici nei pazienti in terapia.

L’OMS stima che più del 30% delle persone che iniziano il trattamento per l’HIV nel mondo ha una patologia avanzata con un severo indebolimento immunitario, condizione che rende questi pazienti particolarmente vulnerabili ad infezioni opportunistiche e più esposti al rischio di perdere la vita. Un terzo delle morti legate all’AIDS nel mondo sono causate dalla tubercolosi, mentre la meningite criptococcica colpisce ogni anno centinaia di migliaia di persone affette dal virus dell’HIV e causa dal 15% al 20% del numero totale di morti legate al virus. Nonostante siano curabili, anche altre infezioni opportunistiche gravi contribuiscono alle morti legate all’AIDS, come la polmonite da Pneumocystis, la polmonite batterica, sepsi, e altre.

Nonostante ciò, l’attenzione prestata per l’individuazione e gestione delle persone con HIV avanzato, così come l’accesso ai test diagnostici e alla terapia per molte infezioni opportunistiche, resta molto limitata. Spesso, nei paesi in cui MSF lavora, gli strumenti diagnostici come i test per misurare il livello di CD4, un tipo di globuli bianchi che combattono le infezioni e la cui conta è utilizzata per valutare lo stato del sistema immunitario e la risposta terapeutica tra i soggetti affetti da HIV, mancano del tutto. Lo stesso vale per i TB-Lam e CrAg LFA, tutti test che forniscono veloci diagnosi della tubercolosi e della meningite criptococcica che spesso non sono disponibili nelle strutture di cure primarie dove la maggior parte delle persone si reca per curarsi.

“Molti pazienti quando si sentono male si recano in centri di salute primaria. Se queste strutture non sono attrezzate e preparate per individuare la presenza dell’HIV in uno stato avanzato, i pazienti a rischio ne restano all’oscuro e non iniziano il trattamento. Di conseguenza continuano a peggiorare fino a diventare malati terminali. Qualcuno viene poi trasferito in ospedali che spesso non hanno gli strumenti basilari per gestirli” dichiara Gilles Van Cutsem di MSF.

Nel 2016, gli stati membri dell’ONU hanno concordato l’obiettivo di ridurre le morti per AIDS del 50% entro il 2020, portandole a meno di 500.000 all’anno. A sei mesi dal termine, siamo molto lontani dall’obiettivo fissato. Il numero di morti per AIDS nel 2018 (770.000) si è ridotto di poco rispetto agli anni precedenti (800.000 nel 2017 e 840.000 nel 2016). Il tasso di riduzione della mortalità è stagnante.

Gli stati membri dell’ONU hanno anche concordato obiettivi di trattamento 90-90-90, ovvero che il 90% delle persone affette da HIV sia a conoscenza del proprio stato, che il 90% delle persone diagnosticate riceva il trattamento antiretrovirale e che nel 90% delle persone sotto trattamento si ottenga la soppressione della carica virale. Qualche settimana fa, MSF e il Ministero della Salute sudafricano hanno dimostrato che è possibile raggiungere questi obiettivi con interventi a livello comunitario e il coinvolgimento dei centri di salute primaria nella comunità di Eshowe, nella provincia di KwaZulu Natal, nel cuore dell’epicentro delle epidemie di HIV, tubercolosi e tubercolosi resistente ai farmaci in Sudafrica, dove una persona su 4 vive con l’HIV (video di seguito).

Nonostante i risultati incoraggianti, l’intervento a Eshowe resta un’eccezione e pochi altri distretti, province o paesi saranno in grado di raggiungere gli obiettivi 90-90-90 entro il 2020. In molti paesi, infatti, la copertura del trattamento antiretrovirale resta troppo bassa per influire sulla mortalità e morbilità. In particolare, i paesi dell’Africa occidentale e centrale che avrebbero bisogno di accelerare gli interventi, stanno subendo un taglio nei fondi internazionali, inclusi quelli per l’espansione della terapia antiretrovirale. Questi paesi e queste comunità dovrebbero ottenere con urgenza le risorse e il supporto necessari per sviluppare e replicare l’approccio comunitario che ha dato ottimi risultati a Eshowe.

I governi, i ministeri della salute, le organizzazioni internazionali e i donatori devono aumentare gli sforzi e focalizzarsi sulla riduzione della mortalità tra le persone affette da HIV, con un’attenzione particolare verso la prevenzione, l’individuazione del virus e la terapia per patologie avanzate legate all’HIV e AIDS.

“Non possiamo festeggiare o parlare di successo mentre centinaia di migliaia di persone continuano a morire a causa dell’AIDS ogni anno perché non hanno accesso alle cure di base o perché vivono in paesi poco considerati, all’interno di comunità dimenticate, dove le politiche ignorano le loro condizioni. Prevenire, individuare e curare l’HIV e l’AIDS richiede più attenzione e più finanziamenti, specialmente in contesti generalmente trascurati come l’Africa occidentale e centrale e tra popolazioni dimenticate” dichiara Silvia Mancini, epidemiologa di MSF.

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