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Non esistono evidenze che gli animali da compagnia svolgano un ruolo epidemiologico nella diffusione all’uomo di Sars-Cov-2. Al contrario, i dati raccolti finora sembrano escludere che gli animali domestici abbiano un ruolo epidemiologico nella diffusione all’uomo del virus” responsabile di Covid-19. A tranquillizzare sulla sicurezza del rapporto con i nostri amici a quattro zampe anche in tempi di pandemia sono Anna Costagliola, ricercatrice del Dipartimento di Medicina veterinaria e Produzioni animali dell’università di Napoli Federico II, e Giovanna Liguori, dirigente veterinario dell’Asl di Foggia, prime firmatarie di un intervento pubblicato sulla rivista ‘Animals’.

Sotto i riflettori un tema ritornato ‘caldo’, ricorda all’Adnkronos Salute Antonio Giordano, direttore e fondatore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia, Usa, professore di Anatomia e Istologia patologica all’università di Siena, e autore senior dell’articolo, “a causa del ritrovamento del coronavirus Sars-CoV-2 nei visoni da pelliccia di allevamento intensivo, trasmesso loro da operai Covid-positivi. Scoperta che ha aperto la strada all’ipotesi verosimile di una possibile trasmissione del virus dall’animale all’uomo”. Da qui questo “‘commentary’ in cui abbiamo cercato di evidenziare il ruolo che gli animali potrebbero svolgere nella diffusione di Sars-CoV-2 all’uomo e quindi nell’epidemiologia della malattia stessa”.

A fronte dei “pochissimi casi di infezioni da Sars-CoV-2 negli animali domestici (gatti, furetti e cani) riportati dalla sorveglianza veterinaria e dagli studi sperimentali”, gli scienziati affermano che “la suscettibilità” al nuovo coronavirus “degli animali da compagnia è strettamente dipendente da uno stretto contatto con persone che sono risultate positive”. E che appunto, allo stato attuale, non esiste alcuna evidenza che possa giustificare sospetti intorno a questi preziosi compagni di vita.

Gli studi sperimentali e le evidenze epidemiologiche, tuttavia, indicano che i pet possono contrarre l’infezione da Sars-CoV-2 attraverso il contatto stretto con persone infette. “Risulta quindi indispensabile – raccomandano Francesca Ciani e Danila d’Angelo, ricercatrici del Dipartimento di Medicina veterinaria e Produzioni animali della Federico II – che i medici veterinari si facciano carico della tutela del benessere degli animali da compagnia consigliando i proprietari positivi al coronavirus di limitare l’esposizione al virus dell’animale, affidandoli temporaneamente a parenti, amici o associazioni per garantire i loro fabbisogni comportamentali non sempre compatibili con l’isolamento obbligatorio dei proprietari”.

“La comparsa della Severe Acute Respiratory Syndrome (Sars) nel 2003 e della Middle East Respiratory Syndrome (Mers) nel 2012, causate rispettivamente da Sars-CoV e Mers-CoV – premettono gli studiosi nell’intervento – hanno dimostrato il potenziale zoonosico dei coronavirus. Il nuovo coronavirus umano Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus type 2 (Sars-Cov-2), responsabile della Coronavirus disease 2019 (Covid-19), lasciato il suo probabile serbatoio animale selvatico si è diffuso rapidamente in tutti i continenti, trovando nella specie umana una popolazione recettiva e in grado di permettergli un’efficiente trasmissione intraspecifica”.

Giordano si dice “fermamente convinto che, laddove non vengano attuati idonei piani di tutela ambientale e salvaguardia del benessere di animali selvatici, che in natura occupano nicchie ecologiche ben definite che non verrebbero mai a contatto con una a maggiore pressione antropica, il rischio zoonosico aumenta in modo considerevole. Tutto ciò può essere inglobato nella visione One Health che prevede un approccio olistico volto a garantire la salute umana, animale e la tutela dell’ambiente”. Concorda Caterina Costa dell’Istituto nazionale tumori di Napoli, Fondazione Pascale: “E’ importante promuovere e potenziare lo scambio di informazioni tra i medici veterinari e l’Istituto superiore di sanità (Iss), per formulare le raccomandazioni giuste e attuare le misure efficaci di gestione del rischio Sars-CoV-2 utilizzando un approccio One-Health”.

(AdnKronos)

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