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Il pm di Milano Giovanni Tarzia ha richiesto pene severe anche per tre co-imputati dell’ex presidente della Camera, coinvolti in un’inchiesta sulla compravendita di Ferrari e altre operazioni commerciali

Il pubblico ministero di Milano Giovanni Tarzia ha richiesto una condanna a quattro anni di reclusione per Irene Pivetti, ex presidente della Camera dei Deputati, accusata di autoriciclaggio ed evasione fiscale. La richiesta è stata presentata durante l’udienza, in cui il pm ha chiesto anche altre tre condanne in relazione alla stessa inchiesta.

L’indagine si concentra su una serie di operazioni commerciali, in particolare sulla compravendita di tre Ferrari Gran Turismo, che sarebbero state utilizzate per mascherare una rilevante evasione fiscale. Irene Pivetti, agendo come rappresentante legale di una società con sede in Polonia e di un’altra a Hong Kong, è accusata, insieme agli altri imputati, di aver facilitato l’evasione di imposte per oltre 5 milioni di euro.

Per la pubblica accusa, Pivetti non merita attenuanti: “Al contrario, perché è stata una persona che ha avuto modo di conoscere dall’interno le istituzioni, ha rivestito la terza carica dello Stato, beneficia di un vitalizio pagato dai cittadini ed è quindi lecito pretendere il rispetto degli obblighi di legge”. Inoltre, durante le indagini, c’è stata “un’assenza di collaborazione e ha reso una ricostruzione confusa”.

Gli altri imputati nel processo sono il pilota di rally Leonardo Isolani, sua moglie Manuela Mascoli e la figlia di lei, Giorgia Giovannelli. Per ciascuno di loro, la pubblica accusa ha chiesto una condanna a tre anni. Secondo l’accusa, l’ex presidente della Camera era consapevole “delle difficoltà finanziarie di Isolani” e lo avrebbe aiutato “a sottrarre i beni”, come le tre Ferrari, dalle procedure di riscossione dell’erario, utilizzando “mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e indurre in errore l’amministrazione finanziaria”.

Pivetti è inoltre accusata di aver evaso tasse per circa 3,5 milioni di euro, successivamente reinvestiti in attività imprenditoriali e finanziarie, portandola all’accusa di autoriciclaggio. Nella sua requisitoria, il pm Tarzia ha evidenziato “la natura simulata dei contratti” e come “nessuna delle società coinvolte, tranne quella cinese, ha visto transitare i soldi sul proprio conto corrente”. Pivetti “si è servita di scatole vuote, di società del tutto inconsistenti dove è assente qualsiasi fattura” e per questo ne ha chiesto la condanna.

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(con fonte AdnKronos)

 

 

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