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Il caso Ronzulli continua a tener banco nel centrodestra e a pesare sul risiko ministeriale. Le trattative sulla formazione del nuovo governo, raccontano, starebbero ancora procedendo a rilento anche a causa del braccio di ferro in corso tra Giorgia Meloni e Forza Italia sulla richiesta di upgrade governativo per la senatrice azzurra, una delle più strette collaboratrici di Silvio Berlusconi, che insieme ad Antonio Tajani e Anna Maria Bernini sarebbero in corsa per un posto nel Cdm.

Un braccio di ferro, per come si sono messe le cose, dagli esiti imprevedibili, visto che nessuno, allo stato, sembra mollare la presa. Da una parte, infatti, riferiscono, c’è Fi che vuole pari dignità della Lega con la Ronzulli intenzionata a non rinunciare a un ministero di peso (tipo la Salute o l’Istruzione) per uno di rappresentanza (le Pari opportunità o la Famiglia); dall’altra, resterebbero le forti perplessità di via della Scrofa, che (in nome del principio ‘dentro’ solo persone di alto profilo per competenze) vorrebbe destinare caselle di primo piano ad altri.

Da qui uno stallo, che alimenta malumori interni a Fi e imbarazza Silvio Berlusconi, che in queste ore si troverebbe davanti a un bivio: ‘sacrificare’ sull’altare del realpolitik la sua fedelissima, ottenendo in cambio delle ‘compensazioni’, tipo un ministero di prima fascia in più oltre a una presidenza del Parlamento o tenere il punto, cedendo al pressing di chi spinge per la Ronzulli ministro, a cominciare, raccontano, da Marta Fascina, ma rischiando così di raffreddare i rapporti con la premier in pectore, se non di andare allo scontro.

Non solo: il ‘nodo Licia’ è strettamente legato alla ‘collocazione’ di Antonio Tajani, dato in pole sempre per gli Esteri. Il numero due di Fi, che con la Ronzulli di fatto ha le redini dell’organizzazione del partito, riferiscono, ci terrebbe a fare il ministro, alla Farnesina o alla Difesa, forte del suo standing europeo, e si sarebbe tirato fuori, per ora, dalla corsa per la presidenza dell’assemblea di Montecitorio. Oggi Tajani è tornato a chiedere “pari dignità politica con la Lega” perché ”Fi ha preso lo stesso numero di voti alle elezioni”, ribadendo il ‘paletto’ sul numero dei tecnici: ”Se ci sarà qualcuno di spessore e qualità, non ci sono problemi, ma certamente non può essere un governo di tecnici, perchè altrimenti non sarebbe cambiato nulla…”. Parole che dalle parti di via della Scrofa hanno letto come una chiara rivendicazione per Fi ma anche per sè stesso.

Altro nodo da sciogliere è chi farà il capo delegazione azzurro nel Cdm: anche qui ci sarebbe una partita in corso. Così come tutta da giocare (sempre tra fedelissimi di Tajani e filoronzulliani) c’è un’altra partita, quella dei gruppi parlamentari, con l’elezione dei nuovi capigruppo, prevista tra il 16 e 17 ottobre. Con Bernini nella squadra di palazzo Chigi, sarebbero tre-quattro i nomi in ballo per guidare il gruppo a palazzo Madama: la stessa Ronzulli se non dovesse spuntarla come ministro (che così farebbe valere il suo peso nella coalizione nella Camera Alta dove i numeri della maggioranza sono più stretti); Dario Damiani, attuale vicecoordinatore regionale forzista in Puglia, considerato vicino proprio alla fedelissima del Cav; Maurizio Gasparri e Gianfranco Miccichè.

Discorso a parte a Montecitorio: anche qui, riferiscono, si potrebbe aprire la corsa per contendere la riconferma dell’uscente Paolo Barelli. Tra i papabili per il ruolo di presidente dei deputati, ci sarebbe quello del sottosegretario alla Difesa, Giorgiò Mulè, dato in lizza anche per un posto governativo.

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