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“I miei amici mi chiamavano il banchiere di dio, è una battuta spiritosa che, ahimè, oggi sto pagando in maniera disumana”. Enrico Crasso, per 27 anni gestore delle finanze vaticane, finito indagato nell’inchiesta della Santa Sede sul palazzo di Sloane Avenue a Londra, in una lunga intervista alla tv svizzera Rsi racconta la sua verità sullo scandalo che sta scatenando un terremoto Oltretevere.

BECCIU E L’INVESTIMENTO PETROLIFERO IN ANGOLA – Crasso ricostruisce la genesi dei rapporti del Vaticano con il finanziere anglo-italiano Raffaele Mincione, nati in seguito alla richiesta da parte dell’allora Sostituto della Segreteria di Stato Vaticana Angelo Becciu di un parere circa un investimento petrolifero in Angola da 200 milioni di dollari, un investimento che sarebbe stato finanziato in parte con i fondi dell’Obolo di San Pietro, cioè i soldi delle elemosina. “Ho fatto presente che mi sarei rivolto alla banca con cui lavoravo. Pertanto mi hanno consigliato di andare a Londra e lì mi è stato presentato il gruppo Mincione, che erano esperti” nella materia, racconta Crasso. Mincione “mi sembrò una persona esperta”, dice ancora, spiegando di essersi sentito rassicurato dal fatto che “la banca faceva delle operazioni con lui a Londra”. Nelle more della valutazione dell’affare in Angola, il Vaticano trasferì in un fondo di Mincione i 200 milioni di dollari che voleva investire. Dopo un anno di istruttoria, poi, Crasso e Mincione comunicarono a Becciu il parere negativo sull’investimento petrolifero: “Becciu prese atto e allargò le braccia e la cosa morì là”.

IL PALAZZO DI LONDRA, UN ASSET-TROFEO – Dopo che fu scartata la proposta di investimento petrolifero in Angola, perciò, Mincione “propose un altro investimento e loro lo accettarono”, prosegue Crasso spiegando che il finanziere si era conquistato la fiducia dei suoi interlocutori e raccontando come nacque l’idea di investire parte dei fondi vaticani nell’acquisto degli ex magazzini Harrod’s a Sloane Avenue: “Il discorso del palazzo è stato presentato come investimento super conveniente: la logica è che stavano pagando qualcosa molto al di sotto del valore di mercato, 30-40% al di sotto di quello che avrebbero potuto realizzare con la vendita o addirittura con la ristrutturazione, perché li c’era un planning permission che permetteva l’elevazione e l’edificazione. Insomma, sarebbe diventato un investimento immobiliare importante in questo bellissimo palazzo, i vecchi magazzini Harrod’s di Londra, un asset-trofeo”.

Dei 200 milioni di dollari che la Segreteria di Stato Vaticana aveva messo nel fondo di Raffaele Mincione, “100 milioni di dollari furono utilizzati per acquistare le quote del palazzo di Londra (il 45%, ndr), l’accordo era che l’altra liquidità sarebbe stata investita in strumenti finanziari concordati. Poi Mincione ha fatto il gestore e li ha utilizzati come li ha utilizzati”.

Crasso racconta di aver suggerito ai funzionari amministrativi della Segreteria di Stato Vaticana di chiudere i rapporti con il finanziere già nel 2017: “Dissi ‘fatevi rimborsare, fatevi soprattutto fare una valutazione dell’immobile’, lo scrissi a Perlasca e a Tirabassi, nessuna risposta”. La decisione di uscire dal fondo di Mincione verrà presa poi a novembre 2018, quando la Segreteria di Stato decide di entrare in possesso dell’intero palazzo di Sloane Avenue, acquistando le restanti quote.

LA MEDIAZIONE DI TORZI – E’ a quel punto che entra in scena il banker molisano Gianluigi Torzi: la Segreteria di Stato vaticana si rivolse a lui “perché conosceva bene Raffaele Mincione”, racconta Crasso, aggiungendo che “Torzi disse a Tirabassi (funzionario amministrativo della Sds, ndr) che sarebbe stato in grado di convincere Mincione a cedere il palazzo. Disse che lo conosceva molto bene e che a lui non avrebbe potuto dire di no per le relazioni di affari che avevano”. Secondo Crasso, Torzi avrebbe anche detto ”che a volte lui aveva finanziato Mincione. Io però – aggiunge – sulla cosa che Torzi finanziasse Mincione ero un pochino scettico”.

“Poi Torzi convinse Mincione a cedere il palazzo. Chiese un appuntamento in segreteria” e avanzò la proposta: 40 milioni di sterline per entrare in possesso dell’intero immobile londinese. “Noi eravamo stupiti, ma se il cliente è il contento… – commenta Crasso – Stupiti della facilità con cui in sette giorni si trovò una soluzione che io paventavo dal 2017…”. Però, “quando arrivò questo contratto, si accorsero che mille azioni con diritto di voto erano rimaste a Torzi: cioè aveva risolto un problema ma ne aveva creato un altro, io non lo sapevo nemmeno”.

In pratica Torzi, nell’aiutare il Vaticano a rientrare in possesso del palazzo di Londra, aveva trattenuto per sé 1000 azioni con diritto di voto che di fatto gliene riservavano la gestione (a suo dire gli erano stati assicurati 5 anni di gestione dell’immobile in cambio del suo intervento risolutivo nella trattativa), tanto che, per farsele restituire, la Santa Sede sarà costretta a versargli 15 milioni di euro al termine di un’estenuante trattativa: una somma che per Torzi rappresenta un giusto compenso ma per gli inquirenti dell’Ufficio del promotore di giustizia sarebbe stata invece un’estorsione. “Se il Vaticano si è reso conto? No, lo escludo in maniera totale – sottolinea Crasso – Nella riunione Torzi disse io vi faccio comprare il palazzo. Mons. Perlasca lo fece parlare e poi disse ‘senta, ma che cosa sono queste mille azioni, noi non abbiamo diritto di voto’. Io nemmeno l’avevo visto questo contratto”.

“NON HO PAURA, MA HO RICEVUTO UNA PUGNALATA” – Crasso è indagato nella vicenda: “Si parla di aver collaborato con Torzi all’estorsione, e quella è la cosa che più mi dispiace. No, nel modo più assoluto”, assicura. “E’ vero che sono preoccupato, ma non ho paura. Mi dispiace per i miei figli per i miei nipoti, speravo ricordassero il nonno per altri versi, non per questa cosa veramente di un’assurdità incredibile. E’ come quando lei lavora accanto a una persona, l’aiuta, e poi si gira e riceve una pugnalata, questa è la sensazione”.

(AdnKronos)

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