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Dal 1° settembre, 18 pescatori e 2 pescherecci mazaresi sono tenuti in ostaggio dai miliziani del generale Haftar, a Bengasi: sono passati oltre 3 mesi e poco o nulla è stato fatto per la loro liberazione.

I 2 pescherecci, insieme ad altri 6-7, stavano pescando in acque internazionali, a circa 40 miglia dalla costa libica all’interno dell’area di 74 mg decisa a suo tempo, unilateralmente, da Tripoli quale loro zona di pesca esclusiva, mai riconosciuta non solo dall’Italia, ma dall’intera comunità internazionale, in quanto ben al di fuori delle 12 mg delle acque territoriali legittimamente e universalmente riconosciute. La dinamica dell’incidente non è ancora del tutto chiara, ma pare che una motovedetta libica si sia avvicinata alle imbarcazioni italiane, sparando colpi in aria; 7 pescherecci riescono a ritirare le reti e fuggire, mentre 2, il Medinea e l’Atlantide, vengono coattivamente fermati e sequestrati da quei miliziani.

Nel frattempo viene comunicato con una nave militare italiana, il Durand de la Penne, che opera nella missione “Mare sicuro” e si trova ad oltre 100 miglia disponendo di un elicottero AB-212 imbarcato; purtroppo, però, i libici erano già saliti a bordo dei nostri pescherecci. Ragionevolmente, in funzione delle distanze in gioco e dello scenario, è stato valutato di non intervenire per ragioni di sicurezza e per scongiurare eventuali ritorsioni nei confronti degli stessi pescatori. Il comandante di quella Unità, al contrario di altre analoghe situazioni di crisi e di acceso contrasto in mare in cui, pur con manovre cinematiche ardite, la nostra Marina era riuscita a far desistere i libici dal sequestrare nostri pescherecci, non è intervenuto nell’immediato e, dopo aver ben soppesato la situazione tattica (nel frattempo la motovedetta era forse già entrata nelle loro acque territoriali…), la eventuale soluzione della questione è stata giocoforza dirottata su un piano diplomatico successivo. La decisione di non intervenire in quella difficile e quasi impraticabile situazione è stata una scelta in autonomia, o meglio una specifica valutazione operativa dei vari pro-con, del Comandante in mare, ma condivisa sicuramente dal superiore Comandante del Task Group, l’attuale Comandante dell’operazione Mare Sicuro che ha alle dipendenze, fra l’altro, un certo numero di Unità Navali.

Sembra comunque che quei 18 siano “invisibili” e le diverse situazioni occorse interessino assai poco i media, ma anche in genere la pubblica opinione; pur comprendendone la criticità non si può sottacere la mancanza decisionale degli attuali governanti, rendendo ancora più palese la poca credibilità ed il debole rispetto del nostro Paese nel contesto internazionale. Sembra inoltre che costoro non contino nulla e siano abbandonati dalla nostra società sempre pronta, sbandierando  una solidarietà di parte, a mobilitarsi, con adeguato rumore e seguito, se solo si trattasse di manifestare per un giornalista preso in ostaggio, oppure per liberare un o una cooperante magari affiliata all’ISIS o ex-Foreign fighter.

E’ un mondo dai valori capovolti; i pescatori sono figli di un Dio minore, appartenenti a quella categoria anomala spesso negletta della “gente di mare”, di naviganti che sta al di fuori di quella dei “normali esseri viventi”, e pure a quella “dei morti”, per cui poco importa agli altri, perché sono soli, lavorano sodo, in silenzio e senza far rumore. Chiariamo, per amore della verità, che non si tratta di “anime belle” immacolate, anche perché esistono precise raccomandazioni  “di sicurezza” rivolte agli armatori affinché siano evitate quelle aree, che invece spesso vengono disattese, in quanto lì ancora si pesca e in altre zone assai di meno.

Come nel caso dell’odissea dei 2 Fucilieri del San Marco in cui vari esponenti del Governo si sperticavano in insulse dichiarazioni di “liberarli subito” (sono passati oltre 7 anni…), anche nel caso dei pescatori si sente solo qualche frase di facciata laconica come “liberarli è una priorità del Governo” e “il comportamento dei libici è inaccettabile”, ma è il silenzio mediatico e popolare a prevalere. In compenso si sta facendo strada una deprecabile ipotesi di scambio, un baratto umano, dei 18 pescatori con 4 farabutti libici condannati a 30 anni in carcere in Italia, accusati di traffico di esseri umani e di vari omicidi.

Non ci vuole molto a fare corretti parallelismi e richiamare alla mente quell’incidente che ha riguardato ancora “gente di mare”, come i 2 Fucilieri di Marina, che 8 anni fa furono presi in ostaggio dalle autorità indiane, mentre stavano operando a protezione dei nostri mercantili, per il contrasto della pirateria nell’Oceano indiano: un’odissea infinita, non ancora conclusa, che pone in risalto da un lato la supponenza e supremazia di qualsivoglia legge nazionale e, per contro, la debole valenza e perfino il riconoscimento formale e sostanziale del Diritto sul piano Internazionale. Anche in tale circostanza, come al largo di Sirte, il Diritto internazionale è stato ripetutamente calpestato di fronte a leggi locali o all’arroganza di bande di delinquenti, sperando che non si giunga a condizionare la salute degli ostaggi, come è capitato a quei 2 bravi servitori del San Marco. In quel miserabile caso ci sono stati momenti critici e di stallo in cui alcuni onorevoli erano arrivati a proporre un “baratto umano”, uno scambio controverso di prigionieri fra i 2 FCM ed una quindicina di delinquenti indiani detenuti nelle nostre carceri: se si dovesse aderire ad una simile proposta, o meglio a quel ricatto “piratesco”, si ripiomberebbe nel Medio Evo, dando un colpo ferale allo Stato di Diritto sostituendolo con uno Etico, primitivo e sregolato, e creando le condizioni sociali di una marcata cesura insanabile delle istituzioni democratiche di un qualsiasi Paese. Per aggravare la situazione di quegli ostaggi i libici li accusano anche di traffico di droga per alzare l’asticella delle loro colpe e delle loro infrazioni, non limitate pertanto alla pesca dei gamberi rossi, particolarmente abbondante in quell’area.

“Mutatis mutandis” si ripete la deprecabile situazione dei 2 FCM che l’India avrebbe voluto e preteso di giudicarli secondo leggi nazionali, ritenute – a dir loro – prevalenti rispetto a quelle internazionali, ancorché già ratificate da quello Stato; così ora sembra che i pescatori mazaresi saranno giudicati dallo Stato libico, senza le opportune garanzie di giustizia, ma soprattutto disconoscendo i dettami del Diritto internazionale vigente, come noto, nelle acque internazionali in cui chiaramente si trovavano quei pescherecci: ancora una volta l’Italia si distingue per una inazione e esasperante lentezza, e perciò viene umiliata da una banda di miliziani barbari, senza che esista la benché minima risposta che, almeno sul piano tecnico-tattico, potrebbe coinvolgere le nostre Forze Speciali perfettamente in grado di liberarli.

Ci vuole uno scatto di orgoglio per recuperare un minimo di credibilità statuale; ci vuole una classe dirigente che decida e si  assuma la responsabilità delle conseguenti azioni; ci vuole una buona dose di coraggio e di onestà per recuperare quegli ostaggi dimostrando che il nostro Paese ci tiene a tutelare i propri cittadini di fronte a palesi soprusi o storture.

Intendiamoci; la trattativa diplomatica è sicuramente complessa ed i 18 pescatori non sono altro che pedine di un gioco più grande, tanto più condizionato dalla instabilità della Libia, ma anche dalla nostra endemica debolezza statuale-decisionale: si capisce tutto, anche le comunicazioni erronee di qualcuno, meno il silenzio peloso dei più, ma dopo 90 giorni di ostaggio il tempo di soluzione è ampiamente scaduto e quei nostri concittadini “di mare” hanno il sacrosanto diritto di rientrare in Italia, al più presto possibile.

Importante è non calar le braghe cercando di sminuire le colpe indiscutibili dei libici, né è tollerabile una nostra semantica mielosa che possa far adombrare accuse surrettizie nei confronti di quei poveri pescatori, dando così spazio ed importanza a quella banda di straccioni-cialtroni pronti a giudicarli inopinatamente e a far prevalere le loro “ragioni”, irrazionali e insensate sul piano internazionale, nonché contrarie ai comuni sistemi e valori di vita delle nostre democrazie occidentali.

Giuseppe Lertora

 


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