
Strage a Rafah e a Gaza: la crisi si aggrava e i colloqui franano
Oltre 30 morti in un attacco israeliano al centro alimentare Ghf. Trattative ferme a Doha, Tel Aviv propone nuove mappe. Raid minacciati su Teheran
Almeno trenta persone sono state uccise e altre centotrenta ferite a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, durante un attacco israeliano contro l’unico centro di distribuzione alimentare ancora operativo della Global Humanitarian Foundation (Ghf). Secondo quanto riferito da un inviato di al Jazeera, i colpi sarebbero stati sparati contro una folla numerosa in attesa di aiuti.
I feriti sono stati trasportati all’ospedale Nasser di Khan Younis, mentre molti corpi rimangono ancora a terra. La Ghf, sostenuta da Stati Uniti e Israele, aveva aperto quattro centri a maggio dopo la chiusura di oltre 400 strutture gestite dall’ONU. Attualmente è operativo solo il punto di Rafah, a causa della sospensione delle attività a Khan Younis per manutenzione, aggravando ulteriormente l’emergenza umanitaria nella zona.
Nuovo attacco a Gaza
Almeno 27 palestinesi sarebbero stati uccisi in una serie di raid aerei israeliani che hanno colpito nella notte e nelle prime ore del mattino diverse aree della Striscia di Gaza, causando vittime anche tra donne e bambini. Lo riferisce il portavoce della Difesa civile di Gaza, Mahmud Bassal, citato dall’agenzia Afp.
Numerosi i bombardamenti su Gaza City, dove sono morte otto persone, tra cui minori, mentre altre sono rimaste ferite in attacchi che hanno colpito abitazioni private. Una delle incursioni ha centrato un’abitazione nei pressi del campo profughi di Nuseirat, nel centro della Striscia, provocando dieci morti e diversi feriti secondo fonti locali.
Grave anche il bilancio di un raid che ha colpito un punto di distribuzione di acqua potabile all’interno di un’area destinata all’accoglienza di sfollati, sempre a ovest di Nuseirat: sei le vittime, tutte civili.
Nel sud della Striscia, tre palestinesi sono stati uccisi in un altro attacco che ha colpito una tenda di sfollati nella zona costiera di Al-Mawasi. Anche in questo caso, le vittime si trovavano in aree teoricamente destinate alla protezione della popolazione.
I raid si inseriscono in una fase di crescente tensione militare e diplomatica, con trattative di tregua in stallo e il deterioramento delle condizioni umanitarie sul terreno.
Intanto i colloqui indiretti tra Israele e Hamas in corso a Doha sembrano sempre più vicini al fallimento. Secondo fonti palestinesi riportate dalla BBC, la delegazione israeliana inviata nella capitale qatariota avrebbe ricevuto un mandato debole, con l’obiettivo implicito di rallentare i negoziati. Alla missione, infatti, non partecipano figure chiave come il capo del Mossad David Barnea, il responsabile ad interim dello Shin Bet e il ministro per gli Affari strategici Ron Dermer.
I negoziati restano impantanati sulle richieste di Hamas per il ritiro completo delle forze israeliane dalla Striscia e sulla gestione degli aiuti umanitari, che il movimento islamista pretende affidati esclusivamente a organizzazioni internazionali terze, escludendo la Ghf. Le proposte israeliane, invece, prevedono il mantenimento di truppe in oltre il 40% del territorio palestinese, con una mappa definita da fonti palestinesi più simile a un piano di riposizionamento che a un vero ritiro.
La delegazione di Hamas avrebbe rifiutato tale mappa, sostenendo che essa legittima la rioccupazione di metà della Striscia e crea una frammentazione territoriale che compromette la libertà di movimento. Nonostante lo stallo, le trattative a Doha proseguono, anche in attesa dell’arrivo dell’inviato speciale del presidente statunitense Donald Trump, Steve Witkoff. Fonti palestinesi ammettono comunque un lieve progresso sui dossier relativi alla liberazione dei prigionieri e all’incremento degli aiuti.
Entrambe le parti confermano che dieci ostaggi israeliani ancora vivi, rapiti il 7 ottobre 2023, potrebbero essere liberati se si raggiungesse un accordo per un cessate il fuoco di sessanta giorni. Tuttavia, le divergenze restano profonde.
Nel frattempo, sul fronte iraniano, Benjamin Netanyahu avrebbe comunicato al presidente Trump la disponibilità di Israele a ordinare nuovi raid contro Teheran nel caso in cui il programma nucleare iraniano proseguisse senza ostacoli. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, il presidente statunitense preferirebbe una soluzione diplomatica, ma non avrebbe escluso la possibilità di attacchi militari. La minaccia, secondo la Casa Bianca, potrebbe servire a convincere l’Iran a firmare un nuovo accordo sul nucleare.
Un alto funzionario israeliano ha spiegato che Tel Aviv potrebbe agire anche senza un’autorizzazione esplicita da parte di Washington. Intanto il Pentagono ha confermato per la prima volta che un missile balistico iraniano ha colpito, lo scorso 23 giugno, una struttura chiave per le comunicazioni militari statunitensi all’interno della base aerea di Al Udeid, in Qatar. L’attacco ha danneggiato una cupola geodetica che ospitava apparecchiature sensibili utilizzate per le operazioni americane nella regione.
Sul piano mediatico, infine, il New York Times è stato criticato per la propria copertura del conflitto israelo-palestinese. Secondo uno studio dell’Università Bar-Ilan, il quotidiano avrebbe contribuito ad alimentare un clima di crescente antisemitismo negli Stati Uniti, dedicando ampio spazio alle sofferenze palestinesi e trascurando, secondo gli autori, il destino degli ostaggi e delle vittime israeliane.
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(con fonte AdnKronos)
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