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Ricostruite le fasi segrete dell’attacco del 13 giugno: tra droni, incursioni mirate e depistaggi, Tel Aviv ha aperto la guerra dei 12 giorni

Due nomi in codice, “Nozze Rosse” e “Operazione Narnia”, racchiudono le fasi iniziali e decisive dell’attacco israeliano contro l’Iran dello scorso 13 giugno. Secondo un’inchiesta del Wall Street Journal, l’offensiva ha aperto la guerra dei 12 giorni, portando all’eliminazione di numerosi generali e scienziati nucleari iraniani, grazie a mesi di preparazione condotti in segreto tra intelligence, diplomazia e depistaggi strategici.

Nella notte del 13 giugno, mentre i generali israeliani osservavano da un bunker sotto la sede dell’Aeronautica le prime ondate di caccia sorvolare Teheran, si dava il via all’Operazione “Nozze Rosse”: un attacco pensato per decapitare istantaneamente la catena di comando militare iraniana. Il nome è ispirato a un noto massacro della serie Il Trono di Spade, e fu tristemente profetico: in poche ore, gran parte della gerarchia delle forze armate di Teheran fu annientata.

Parallelamente, prendeva forma “Operazione Narnia”, uno dei colpi più audaci del Mossad. Nove scienziati nucleari vennero uccisi quasi simultaneamente nelle loro abitazioni nella capitale iraniana, grazie a infiltrazioni e tecnologie avanzate che avevano dell’incredibile. A coordinare le azioni, squadre di sabotatori e centinaia di droni quadricotteri esplosivi contrabbandati in valigie e container nei mesi precedenti.

Il piano: dal Mossad al fronte aereo
L’intelligence israeliana aveva identificato sin dagli anni ’90 il pericolo crescente del programma nucleare iraniano. Dopo anni di sabotaggi, omicidi mirati e esercitazioni congiunte (come l’Operazione Glorious Spartan in Grecia nel 2008), Tel Aviv ha messo a punto la capacità tecnica per colpire in profondità a oltre 1.600 km di distanza, superando le limitazioni geografiche del proprio territorio.

Negli ultimi mesi, Israele ha affinato queste tecniche colpendo obiettivi Houthi in Yemen e annientando, in due raid nel 2024, le batterie di difesa S-300 russe presenti in Iran.

Il momento della decisione
Secondo fonti riservate, la decisione definitiva è arrivata il 9 giugno dal premier Benjamin Netanyahu, che ha inscenato pubblicamente un clima di normalità: ha annunciato ferie governative e persino il matrimonio del figlio Avner per il 16 giugno. Né il figlio né la moglie, Sarah Netanyahu, erano a conoscenza che le nozze erano solo una copertura. Nel frattempo, si lasciava trapelare alla stampa l’apparente dissenso con Donald Trump, che ufficialmente spingeva per una soluzione diplomatica con Teheran.

Il giorno dell’attacco, mentre i jet si alzavano in volo, il presidente americano scriveva su Truth Social: “Siamo ancora impegnati per una soluzione diplomatica con l’Iran”. In realtà, quella dichiarazione contribuiva al bluff israeliano, facendo credere a Teheran che Washington avesse ancora il controllo della situazione.

La fase d’attacco: eliminare prima di essere colpiti
Un punto cruciale dell’operazione fu proprio colpire prima che l’Iran potesse reagire. Secondo i vertici militari israeliani, eliminare i comandanti dell’aeronautica iraniana avrebbe permesso di neutralizzare i siti missilistici prima di un’eventuale rappresaglia. In un colpo di fortuna (o di errore fatale), i comandanti si erano radunati in un’unica sede, rendendo il raid israeliano devastante.

L’intera operazione, coordinata con droni, sabotatori, attacchi mirati e depistaggi politici, ha mostrato la nuova frontiera delle guerre ibride. E ha lasciato una domanda cruciale: sarà davvero l’ultima escalation o solo l’inizio di una guerra ancora più grande?

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(con fonte AdnKronos)

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