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Hanno avuto un ruolo chiave nella costruzione della Russia di Putin. E, nelle aspettative dell’Occidente, potrebbero averlo anche nella dissoluzione del regime del capo del Cremlino. Gli oligarchi, i super ricchi imprenditori che hanno fatto le loro fortune con le privatizzazioni delle aziende di Stato, stanno subendo le conseguenze delle sanzioni occidentali e sono stati costretti dalle conseguenze della guerra in Ucraina a ridimensionare sensibilmente il proprio patrimonio. Che fine hanno fatto? E come si stanno muovendo per cercare di limitare i danni? Soprattutto, hanno l’interesse e la forza per ‘ribellarsi’ non tanto all’impoverimento progressivo della madre patria quanto all’inesorabile riduzione della propria ricchezza personale?

Alla prima domanda cercano di rispondere, con una certa fatica, anche le autorità che devono controllare l’efficacia delle sanzioni. Erano tutti abituati a spostarsi da una residenza all’altra, in Europa e negli Stati Uniti, con Londra, Parigi e New York come sedi principali più gettonate. Affari e vacanze, con l’Italia tra le mete preferite, spostando grandi quantità di denaro. Oggi hanno dovuto cambiare abitudini. Alcuni sono tornati stabilmente in Russia, altri si muovono prevalentemente nei Paesi non ostili alla Russia, dalla Turchia agli Emirati Arabi, altri ancora, quelli non sanzionati direttamente, continuano a muoversi anche in Europa.

Cercare di capire cosa fanno per provare a contenere le perdite e, dove possibile, per continuare a fare affari è un altro passaggio chiave. Ci sono le proprietà possedute difficilissime da censire, tra paradisi fiscali, prestanome, società di comodo e trust anonimi. Ci sono i movimenti di denaro e le transazioni che continuano, i traffici di opere d’arte e di beni di lusso operati attraverso intermediari di nazionalità diverse. C’è anche chi sta spendendo milioni di dollari in parcelle di super avvocati per tentare di opporsi legalmente agli effetti delle sanzioni. Qualcosa della loro attività si vede, molto altro si intuisce.

Quello che è innegabile, almeno stando ai dati disponibili, è che tutti stiano accusando perdite consistenti. Secondo l’indice globale dei miliardari di Bloomberg, i 24 oligarchi russi più ricchi hanno perso alla data del primo gennaio 2023 poco meno di 100 miliardi di dollari, quasi 40 solo nei giorni immediatamente successivi allo scoppio della guerra. L’ex proprietario del Chelsea, Roman Abramovich, ha perso il 57% del suo patrimonio, che si aggira ora intorno a ‘soli’ 7,8 miliardi di euro. Gennady Timchenko ha perso il 48% e può contare ancora su 11,8 miliardi. Vladimir Potanin, il re del nickel, ha ancora un patrimonio di poco superiore ai 29 miliardi.

Scorrendo questi dati si arriva alla domanda cruciale. Gli oligarchi riusciranno a navigare come stanno facendo ancora a lungo o, alla fine, chiederanno il conto a Putin? Qualche segnale di insofferenza c’è stato, così come diversi tentativi di spingere in qualche modo per agevolare la conclusione del conflitto in Ucraina. Oleg Tinkov ha rinunciato alla cittadinanza, ha definito “folle” la guerra ed è stato costretto a cedere la sua banca. Oleg Deripaska, parlando recentemente a un forum in Siberia, ha detto chiaramente che le sanzioni pesano e che “già il prossimo anno non ci saranno soldi” e la Russia “avrà bisogno di investimenti stranieri”. Lo stesso Abramovich ha provato a ritagliarsi un ruolo di mediatore, partecipando anche ai colloqui in Bielorussia della primavera scorsa, prima dell’ulteriore inasprimento del conflitto.

La risposta di Putin agli oligarchi, finora, è stata eloquente. “Nessuno dei comuni cittadini è dispiaciuto per coloro che hanno perso i loro capitali, yacht e palazzi all’estero”, ha scandito nel suo discorso sullo Stato della Nazione. Un segnale, anche questo, che può essere letto come un avvertimento rispetto a una pressione che potrebbe salire con il protrarsi della guerra. (di Fabio Insenga)

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