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Il cibo, oggigiorno, pare essere dappertutto: se ne produce in quantità sufficiente a sfamare 12 miliardi di persone. Ma c’è un dato tutt’altro che rassicurante, quello sulle persone che soffrono la fame: secondo la Fao, nel 2021, chi ne ha patito sono stati tra 702 e 828 milioni di individui. In mezzo a questi due opposti, c’è il dato sullo spreco alimentare: quasi un terzo del cibo viene gettato via senza essere consumato. In occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione del 16 ottobre, Slow Food denuncia le assurdità che caratterizzano il modo di produrre e consumare cibo.

“La giornata mondiale dell’alimentazione non può che fare perno sul tema dell’equità: viviamo in un’epoca in cui ancora si muore di fame. E una constatazione tanto insopportabile diventa ancora più odiosa quando si chiarisce che non si muore di fame per scarsità alimentare ma per povertà. È la povertà a determinare la negazione del diritto alla sopravvivenza”, dice Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia.

“Il sistema alimentare dominante, oggi, è lo specchio di un mondo che ragiona all’incontrario, che agisce sulla base dei profitti invece che dei diritti, che promuove lo sfruttamento invece che il benessere. Quello che ha a che fare con la produzione di cibo è un settore che raccoglie ingenti investimenti, ma che non produce ricadute economiche sugli anelli più deboli della catena, su coltivatori e allevatori di piccola scala, e che lascia morire di fame decine di milioni di persone”.

Slow Food denuncia anche come i metodi di produzione di cibo oggi maggiormente diffusi impoveriscano le risorse invece di tutelarle e come l’industria del cibo non abbia più legami con i luoghi né con le stagioni in un sistema dominato da allevamenti intensivi, enormi campi monocolturali, semi gestiti e venduti da una manciata di multinazionali. Intanto, le conseguenze delle tensioni internazionali hanno innescato una spirale di inflazione che sta avendo, e avrà sempre di più, gravi conseguenze sulla sicurezza alimentare dei meno abbienti: la ridotta disponibilità economica delle famiglie spingerà a privilegiare alimenti a basso costo, spesso meno salubri e meno nutrienti e che nascondono sfruttamento della manodopera o il ricorso alla chimica.

Ma c’è anche chi lotta per mantenere i semi nelle mani di chi produce il cibo, combatte il land e il water grabbing, alleva in maniera consapevole e rispettosa degli animali. “Promuovere un sistema alimentare sano richiede un investimento: più che quello economico, occorre un investimento in volontà. Volontà di chi ha il compito di governare l’Italia o di rappresentarla in Europa: senza lasciarsi tentare dai luccichii dell’agroindustria, dell’editing genetico e degli Ogm, dalla chimica di sintesi o dall’illusione che la crisi ambientale si risolva solo attraverso la tecnologia. Servono volontà e competenza, capacità di ascoltare e farsi ispirare da chi il cibo lo produce per nutrire, non per arricchirsi a discapito di qualcun altro”, conclude Barbara Nappini.

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(AdnKronos)

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