
Superlega: Cei tuona, “Cosa vi fa dire essere migliori? Sport non è business”
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La Cei tuona contro il progetto Superlega promosso da dodici club per un torneo d’élite che ha scatenato la ‘guerra’ in Europa. “‘Super’ – dice in un’intervista all’Adnkronos don Gionatan De Marco, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale dello sport, tempo libero e turismo della Conferenza episcopale italiana – è chi se lo merita! ‘Super’ è chi scende in campo e vince… e partita dopo partita conquista sempre un punto in più degli altri! ‘Super’ è chi non fa dello sport un regno economico, ma chi fa dello sport un giardino di talenti accompagnati a dare il meglio di sé”.
Amara la riflessione dell’esponente Cei: ‘Nulla sarà più come prima’… fase magica già distrutta da una scelta fatta da club che semplicemente pensano di essere migliori e hanno lanciato forte il messaggio che ‘nulla è cambiato’, anzi… chi più ha più pensa di contare… e siamo alle solite! Della scelta che i 12 club hanno fatto non dovrebbe tanto preoccupare il ‘fatto’, quanto ancor di più dovrebbe preoccupare quell’auto celebrarsi come ‘super’!”.
Cari presidenti di Juve, Milan e Inter – per rimanere in casa nostra – cos’è che vi fa pensare di essere super?
Il responsabile della pastorale Cei per lo sport si rivolge alle squadre big di casa nostra: “Mi verrebbe quasi da chiederlo: Cari presidenti di Juve, Milan e Inter – per rimanere in casa nostra – cos’è che vi fa pensare di essere super, di essere i migliori?’ Presumo che questa auto celebrazione sia dovuta al peso dei conti e delle quotazioni di queste società calcistiche! Ma… il talento? La competizione? Lo sport per tutti?”.
Da qui la sferzata per un rigurgito di coscienza: “Dovremmo riflettere su questa fuga dei presunti migliori, perché mettono ancora una volta in luce la povertà del calcio fatto impresa… economica, non sportiva! E mentre ci sono società sportive che si auto tassano per acquistarsi le magliette per dare la possibilità ai propri giocatori di scendere in campo e dare il meglio di sé, ci sono società sportive che si creano il loro hotel di super lusso, circuito chiuso di business rinchiusi in interessi di parte”.
(AdnKronos)
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