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Il rilascio nell’Oceano delle acque radioattive dell’impianto nucleare giapponese di Fukushima è “una extrema ratio”, un “provvedimento tampone”; la conclusione è che “a distanza di 12 anni l’incidente ancora non si è risolto, le conseguenze si protraggono per decenni”. Così all’Adnkronos Valerio Rossi Albertini, fisico del Cnr, commenta l’annuncio delle operazioni, a partire da giovedì, per il rilascio dell’acqua contaminata nell’Oceano.

Per l’esperto, si tratta di “una extrema ratio perché ormai dall’incidente del 2011 sono passati 12 anni e l’acqua di raffreddamento si è andata accumulando, dal momento che il nocciolo del reattore è ancora caldo e quindi va tenuto sotto controllo raffreddandolo, appunto, con dell’acqua. L’acqua, che sta diventando radioattiva a contatto con queste sostanze, deve essere stipata e ha riempito ormai tutte le vasche che erano già disponibili e che sono state costruite in seguito per raccoglierla. Adesso, per continuare, c’è necessità di disfarsi di quest’acqua e la quantità è imponente, si parla di qualcosa come 500 piscine olimpioniche da sversare nell’Oceano”, spiega Rossi Albertini.

“I rischi sono che l’immissione di acqua, anche se blandamente radioattiva perché sarà trattata, possa avere un impatto sull’ecosistema marino nel braccio di mare dove verrà riversata perché, se è vero che l’Oceano Pacifico è immenso e verrà diluita molto rapidamente, è altrettanto vero che lo sversamento avviene in un punto preciso ed lì che si possono verificare problemi”, avverte.

“Secondo i dati comunicati dalla Tepco, che si occupa dell’impianto, l’acqua verrà pretrattata, cioè verranno tolte le sostanze nocive tanto quanto possibile, verrà diluita, in modo tale che quando viene sversata non ci sia un alto tenore di sostanze radioattive e verrà riversata un po’ alla volta in modo da consentire ai flussi delle correnti oceaniche di trasportare e diluire ulteriormente la radioattività. Le cautele ci sono tutte: l’Agenzia internazionale per l’energia atomica ha dato il proprio assenso e dell’agenzia ci si può fidare perché hanno tecnici molto rigorosi”, sottolinea.

Ci sono alternative? “Altre soluzioni teoriche ci sarebbero: trasportare l’acqua in impianti di trattamento ma i costi, immagino, sarebbero insostenibili o farla evaporare, alcuni sostengono che l’impatto sarebbe inferiore rispetto allo sversamento, ma per fare evaporare 500 piscine di acqua ci vorrebbe troppa energia. Non c’è una tecnica salvifica, bisogna confrontarsi con il fatto che quando si verifica un incidente nucleare di questa portata non c’è un protocollo di azione, non si sa cosa si debba fare e si naviga a vista. Per piccoli incidenti si sa come intervenire, quando l’incidente è grande purtroppo non si sa cosa fare”, osserva Rossi Albertini.

Quindi, “resta il fatto che a distanza di 12 anni l’incidente ancora non si è risolto, questo è un provvedimento tampone: eliminano l’acqua che non riescono più a stipare ma dovranno continuare a raffreddare e quindi questo problema si protrarrà. La conclusione è che un incidente nucleare dopo 12 anni, come ci insegna anche Chernobyl dal quale sono passati molti più anni, non si conclude, le conseguenze si protraggono per decenni e esattamente quale possa essere la conseguenza di questo provvedimento nessuno lo sa perché e vero che in passato sono stati fatti sversamenti di acqua radioattiva ma mai in quantità così ingenti. Dobbiamo fidarci che abbiano fatto tutte le simulazioni e che effettivamente le correnti oceaniche svolgano il loro ruolo. Fatto sta che comunque per l’economia locale è un trauma”.

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(AdnKronos)


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