
Dengue e Chikungunya, rischio crescente in Italia: colpite coste e periferie urbane
Uno studio evidenzia le zone più esposte alla diffusione autoctona delle due malattie trasmesse dalla zanzara tigre, con allerta per l’estate
I territori costieri e le periferie delle città sono le aree del Paese più esposte al pericolo di focolai autoctoni di Dengue e Chikungunya. A segnalarlo è uno studio che ha mappato il rischio su tutto il territorio nazionale, con la collaborazione delle autorità sanitarie centrali e locali.
Anche se negli ultimi anni i casi si sono concentrati soprattutto nelle regioni del Nord e del Centro, il rischio coinvolge anche molte altre zone, dove la presenza della zanzara tigre, unita a condizioni climatiche favorevoli, crea un ambiente adatto alla trasmissione dei virus. Le aree costiere e le periferie urbane risultano particolarmente vulnerabili.
Negli ultimi anni si è registrato un aumento dei casi autoctoni di Dengue e Chikungunya, malattie un tempo solo importate. Le cause sono molteplici: la ripresa dei viaggi internazionali, l’espansione dell’insetto vettore e l’aumento delle epidemie nei Paesi a clima tropicale e sub-tropicale.
Tra il 2006 e il 2023 sono stati confermati in Italia 1.435 casi importati di Dengue e 142 di Chikungunya. Allo stesso tempo, sono stati diagnosticati 388 casi autoctoni di Dengue e 93 di Chikungunya. Le infezioni sono state contratte soprattutto in Asia e America Latina, ma si sono poi trasmesse anche in Italia, in presenza del vettore.
Il periodo più favorevole alla trasmissione locale va da luglio a fine settembre, con un’estensione fino a novembre nelle aree del Sud. Tutte le zone in cui si sono verificati focolai erano state individuate come ad alto rischio. Tuttavia, molte altre aree con caratteristiche simili potrebbero essere ugualmente esposte, in caso di nuovi casi importati.
Una volta individuati i focolai, gli interventi di controllo sono riusciti a ridurre la trasmissione in circa due settimane. Tuttavia, resta un problema di ritardo nella diagnosi. Nelle regioni non endemiche, la bassa conoscenza clinica di queste malattie può rallentare l’identificazione dei casi e rendere più difficile bloccare la diffusione.
Il rischio, dunque, è concreto. Le epidemie possono svilupparsi in molte aree del Paese, specie in estate e in presenza di soggetti infetti provenienti da zone dove i virus sono già in circolazione. Le zone più a rischio sono quelle umide, ricche di vegetazione e con ristagni d’acqua, ma anche le città densamente abitate.
Fino ad oggi, il cambio di stagione ha contribuito a contenere la diffusione. Tuttavia, i cambiamenti climatici e l’allungamento del periodo caldo potrebbero favorire un radicamento dei virus. Restano fondamentali la prevenzione, il controllo dei vettori, la diagnosi precoce e la sensibilizzazione della popolazione. I vaccini iniziano a essere disponibili, ma il primo fronte resta quello della sorveglianza e dell’intervento rapido.
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(con fonte AdnKronos)
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