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Sono mesi che si rincorrono ipotesi, indiscrezioni e smentite ufficiali. Dell’Accordo del secolo che, nelle ambizioni dell’amministrazione Trump, dovrebbe risolvere una volta per tutte la questione palestinese, fino a pochi giorni fa non si sapeva nulla di certo. Poi, domenica, la svolta. La Casa Bianca ha annunciato che la parte economica del piano di pace verrà discussa il 25 giugno a Manama, in Bahrein, nel corso di una conferenza internazionale alla quale parteciperanno rappresentanti dei governi, del mondo economico e leader civili. Al centro dei colloqui non ci saranno i termini controversi di un accordo politico tra israeliani e palestinesi, un accordo che fino a oggi non ha mai preso forma, ma lo sviluppo degli investimenti economici nei territori palestinesi di Cisgiordania e Gaza.

Il segretario di Stato americano, Steven Mnuchin, ha subito annunciato l’intenzione di prendere parte a quello che la Casa Bianca profila semplicemente come un “workshop” economico. Accanto a lui ci saranno rappresentanti dell’Europa, dell’Asia e del mondo arabo. Il governo israeliano, per ora, non si è espresso. Ma è la rappresentanza palestinese la parte spinosa della questione. Si parla della partecipazione di alcuni “uomini d’affari”. L’Anp non ci sarà nemmeno in forma non ufficiale.

Il primo ministro palestinese, Mohammad Shtayyeh, ha fatto sapere che il suo governo non è stato consultato in merito alla conferenza in Bahrein e che nessuna parte è autorizzata a negoziare in sua rappresentanza. “Verrà rifiutato ogni tentativo di promuovere una normalizzazione economica con l’occupazione israeliana della Palestina” ha dichiarato senza mezzi termini Saeb Erekat, segretario generale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp).

La tensione tra l’Anp e Washington è alle stelle: proprio la scorsa settimana, a poche ore dall’annuncio della conferenza di Manama, gli Stati Uniti avevano negato il visto di ingresso a Hanan Ashrawi, ex negoziatore dell’Olp, facendo infuriare il governo di Ramallah.  Resta da capire quali uomini di affari palestinesi avranno il coraggio di presentarsi a Manama in un clima come questo. Ma a cercare bene, gli indizi per scoprire chi siano, non mancano.

Uno degli scopi dichiarati della conferenza di Manama sarà la riforma delle strutture governative del territorio palestinese in vista del suo sviluppo economico. Ed era il 1 maggio quando a Hebron nasceva un nuova entità politica “ad hoc”: il Partito della Riforma e dello Sviluppo, destinato a rappresentare, secondo i suoi fondatori, la maggioranza silente palestinese. Gli scopi della nuova formazione sono tutti concentrati sullo sviluppo economico, la vera priorità politica. Per raggiungerlo, il partito della Riforma e dello Sviluppo propone la cooperazione con Israele, un nuovo corso di lotta al terrorismo che porterà all’apertura delle strade oggi chiuse per ragioni di sicurezza e alla libera circolazione dei palestinesi. Non ultimo, si prefigge la lotta alla corruzione nell’Anp e la riforma delle sue istituzioni.

La reazione di Abu Mazen non si era fatta attendere: poche ore dopo la presentazione della nuova entità politica, il presidente dell’Anp aveva definito le sue proposte semplicemente “tossiche”. Il partito di Abu Mazen, Fatah, aveva immediatamente divulgato un comunicato ufficiale diffidando la popolazione a prestare credito al nuovo protagonista politico, accusato di essere allineata ad Israele e di voler distruggere “il sogno della creazione di uno stato palestinese”.

I fondatori del partito della Riforma e dello Sviluppo non sono nomi noti dell’arena palestinese e, soprattutto, non sono affiliati ad alcuna formazione politica storica. Ma tra loro, c’è Ashraf Jabari, ex ufficiale delle forze di sicurezza preventiva dell’Anp. Una figura di primo livello dell’Intelligence, una personalità controversa per le sue relazioni con Israele e l’attuale amministrazione americana, con la quale l’Anp ha interrotto tutti i rapporti ufficiali un anno fa, quando Trump ha deciso di spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme. Il 4 maggio in un’intervista con il quotidiano online saudita “Indipendent Arabia”, Jabari ha ribadito la sua intenzione di incontrare i rappresentanti statunitensi contro le posizioni ufficiali dell’Anp. Ha anche parlato di fallimento della soluzione di due stati, proponendo la creazione di un unico paese in cui israeliani e palestinesi possano coesistere pacificamente. E se fosse proprio Jabari uno dei principali invitati alla conferenza di Manama?

Il bottino che si prospetta per gli uomini di affari palestinesi invitati alla conferenza in Bahrein potrebbe davvero essere ricco. Secondo le indiscrezioni del quotidiano israeliano “Israel HaYom”, vicino al premier Benjamin Netanyahu, l’Accordo del secolo prevede che i paesi del Golfo, insieme agli Stati Uniti e all’Europa, stanzino un budget di 30 miliardi di dollari per lo sviluppo dell’economia nei territori di Cisgiordania e Gaza. Una cifra che potrebbe fare gola anche ad Hamas, stretta dalla morsa di una crisi economica senza fine. Tra i progetti più ambiziosi di cui si parlerà a Manama c’è anche la costruzione di un’autostrada, finanziata al 50% dalla Cina, che connetterà Gaza alla Cisgiordania. Dentro c’è il gotha finanziario di mezzo mondo: Abu Mazen, uno dei pochi ancora in vita ad aver partecipato alla fondazione di Fatah accanto ad Arafat, non è mai stato così solo. E il sogno di uno stato palestinese è sempre più lontano.

Monica Mistretta

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