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Il baccalà, un pesce dalle mille risorse, spesso confuso con lo stoccafisso. Vediamo come distinguerlo e riconoscere la qualità per non cadere nelle frodi alimentari

Si dice che il baccalà sia il maiale del mare. Di esso, infatti, non si butta via nulla: le guance sono pregiatissime, dalla vescica natatoria si ricava una gustosissima trippa, le lingue si mangiano fritte e le uova si lessano. Quand’è fresco, impanato e fritto diventa il celebre fish and chips. Messo sotto sale, si chiama baccalà. Essiccato al sole, stoccafisso o pesce palo proprio perché essiccato su pali di legno.
In Italia, quando si parla di baccalà si fa spesso confusione: molte delle ricette più diffuse che vedono impiegato questo pesce, come baccalà in realtà è lo stoccafisso.

Attenti alle frodi

Esistono due modi diversi per produrre esemplari apparentemente simili che tuttavia non dovremmo nemmeno paragonare. Da un lato, c’è quello dissalato che si lavora in Spagna da secoli; dall’altro il merluzzo siringato con acqua e sale, frutto dell’innovazione tecnologica e di una politica commerciale con pochi scrupoli.

Vediamo bene le differenze, da una parte c’è il baccalà tradizionale di qualità: pescato all’amo, immediatamente decapitato, dissanguato e infine lavato con una salamoia di ghiaccio e acqua di mare.

Dall’altra, il baccalà pescato con reti a strascico – metodo che assicura maggiori quantità a scapito di qualità e sostenibilità -, dissanguato e poi lavorato a ore di distanza dalla morte. Un fattore che, a differenza del pesce d’amo, pregiudica la qualità del prodotto riconoscibile da una pelle tutt’altro che integra e lucente.

Una volta pulito con cura, il baccalà tradizionale arriva nei depositi per la salagione, dove le farfalle di baccalà – i pesci decapitati e lasciati attaccati alla spina centrale – vengono salate con alternanza di uno strato di sale a uno di baccalà. Vengono poi messi in pile di massimo un metro d’altezza, in modo da pressarli sotto il loro stesso peso, a un temperatura compresa tra gli 0 e i 5°C. Per favorire la salagione, il prodotto viene poi fatto ruotare, portando su le farfalle che hanno subito più pressione e nella parte inferiore le ultime riposte. Il tutto, per un periodo di circa 3 mesi, arco temporale minimo per consentire l’asciugatura all’osso di un baccalà di media pezzatura.

Una volta pronto, il baccalà può essere conservato a lungo. Ma prima del consumo dev’essere dissalato attraverso varie operazioni di reidratazione e dissalatura: 2-3 giorni per le pezzature piccole; 10-12 giorni per baccalà di 5/10 kg di peso (che in mare pesavano tra i 10 e i 20 kg). Tutti passaggi che danno vita a un prodotto più delicato, di consistenza morbida, non distante da quella del pesce fresco.

Cosa accade invece al baccalà truccato? Eravamo rimasti al lavaggio. Capita che si siringhi nel pesce fresco acqua e sale, fattore che farà sfigurare il Gadus morhua, infatti può accadere in che altri pesci della famiglia dei Gadidae, cugini del Gadus morhua come il brosme, il ling o il pollak, vengano spacciati per baccalà.

Il miglior baccalà in assoluto è quello ricavato da farfalle molto grandi. Il baccalà è un pesce povero di grassi saturi (un tipo di lipidi la cui assunzione giornaliera non dovrebbe superare il 10% delle calorie introdotte con il cibo) e ricco di omega 3 (grassi in supporto alla salute di cuore e arterie). Inoltre è una buona fonte di proteine di qualità elevata, di vitamine del gruppo B (importanti per il buon funzionamento dell’organismo), di magnesio (minerale coinvolto in numerose reazioni cellulari), di potassio (che controllando frequenza cardiaca e pressione protegge la salute cardiovascolare), di fosforo (importante sia per la salute di ossa e denti che per quella di reni, muscoli e cuore, per il buon funzionamento del metabolismo e per la trasmissione dell’impulso nervoso) e di selenio (che aiuta a difendere l’organismo dallo stress ossidativo).

Alfonso Piscopo
Dir. Veterinario asp Agrigento

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