Elezioni in Myanmar, Onu accusa la giunta: violenze per forzare il voto
L’Onu accusa la giunta del Myanmar di usare violenza e repressione per costringere la popolazione a votare alle elezioni generali controllate dai militari
Le elezioni in Myanmar che prenderanno il via domenica 28 dicembre si svolgeranno in un clima di violenza, repressione e gravi violazioni dei diritti umani. È l’accusa mossa dalle Nazioni Unite contro la giunta militare al potere da quasi cinque anni, che secondo l’Onu starebbe ricorrendo a intimidazioni e forza per obbligare la popolazione a partecipare al voto.
L’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani parla di una “intensificazione della violenza, della repressione e delle intimidazioni”, con civili minacciati sia dalle autorità militari sia da gruppi armati che si oppongono all’esercito. Un contesto che, secondo l’Alto commissario Volker Turk, rende impossibile una partecipazione libera e consapevole. “Non ci sono le condizioni per esercitare i diritti alla libertà di espressione, associazione e riunione pacifica”, ha affermato.
Elezioni in Myanmar e arresti per dissenso
Secondo Turk, la giunta dovrebbe “smettere di usare violenza brutale per costringere le persone ad andare a votare” e interrompere gli arresti contro chi esprime opinioni critiche. Decine di persone sarebbero state fermate in base a una controversa “legge per la tutela del voto”, semplicemente per aver manifestato dissenso. Tra i casi segnalati, quello di tre giovani condannati a pene comprese tra i 42 e i 49 anni di carcere per aver affisso manifesti contro le elezioni.
La giunta militare ha confermato che oltre 200 persone sono state incriminate con l’accusa di “sabotaggio” del processo elettorale. Le voci contrarie al voto definiscono le elezioni in Myanmar “ingiuste e poco trasparenti”, denunciando un sistema privo di reali garanzie democratiche.
Sfollati minacciati e ritorni forzati
L’Onu segnala anche pressioni sugli sfollati interni, in diverse aree del Paese, inclusa la regione di Mandalay. Secondo le informazioni raccolte, alcune persone sarebbero state avvertite di possibili attacchi o sequestri delle abitazioni se non fossero rientrate per votare. “Costringere gli sfollati a ritorni non sicuri e non volontari costituisce una violazione dei diritti umani”, ha ricordato Turk.
Le minacce, riferisce ancora l’Onu, arrivano anche da gruppi armati che si oppongono all’esercito, contribuendo a un quadro di violenza generalizzata. Le successive fasi del voto sono previste per l’11 e il 15 gennaio.
Amnesty: crimini di guerra e repressione
Anche Amnesty International ha espresso forti preoccupazioni sulle elezioni in Myanmar, parlando di preparativi segnati da “attacchi illegali” che potrebbero configurare crimini di guerra e da un drastico aumento delle detenzioni arbitrarie. L’organizzazione segnala che nel 2025 i raid aerei hanno raggiunto livelli prossimi ai record dal golpe del 2021 e che gli attacchi sono aumentati dopo l’annuncio della data del voto, soprattutto nelle aree di conflitto.
Secondo Amnesty, i militari hanno ucciso almeno settemila civili dal colpo di Stato. “Queste elezioni sono in netto contrasto con quelle democratiche del 2015 e del 2020”, ha dichiarato Joe Freeman, ricercatore per il Myanmar, descrivendo l’attuale fase come un periodo dominato da crimini di guerra, arresti e sorveglianza diffusa.
Il caso Aung San Suu Kyi
Resta infine irrisolta la situazione di Aung San Suu Kyi, ex leader del Paese e Premio Nobel per la Pace, detenuta dal golpe del febbraio 2021 e condannata con diverse accuse, tra cui corruzione. I militari hanno dichiarato che sarebbe in “buona” salute, ma non sono chiare le sue reali condizioni di detenzione. Nel 2023 la giunta ha anche annunciato lo scioglimento del suo partito, la National League for Democracy.
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(con fonte AdnKronos)
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