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Chi inquina paga…e ripara il danno. Questo è il principio che l’Ue vuole inserire in modo che i responsabili contribuiscano a proprie spese alla rimozione dei microinquinanti dalle acque di scarico urbane.

Tra queste, emergono le microplastiche che sono tra i principali agenti inquinanti nelle acque marine, tanto che la Commissione Ambiente del Parlamento europeo Envi in sede di proposta di regolamento ha chiesto di ridurre del 50% entro il 2030 l’uso di pesticidi chimici perché contengono questi elementi.

In base alla proposta, gli Stati membri sono chiamati ad adottare obiettivi e strategie basati sulle sostanze, il pericolo e la dimensione agricola. Al fine di massimizzare l’impatto delle strategie nazionali, gli Stati membri dovrano anche disporre di norme specifiche almeno per le 5 colture in cui la riduzione dell’uso di pesticidi chimici avrebbe l’impatto maggiore. Sarà poi la Commissione europea a supervisionare l’aderenza delle strategie nazionali agli obiettivi UE 2030. Nello specifico la Commissione Envi propone di vietare l’uso di pesticidi chimici in aree sensibili e in zone urbane entro 5 metri, compresi parchi e spazi ricreativi.

Ma il controllo dell’Unione non vuole essere solo interno: la proposta prevede che entro dicembre 2025, la Commissione esamini le differenze nell’uso dei pesticidi su prodotti importati rispetto a quelli europei, proponendo misure per garantire standard equivalenti o vietare esportazioni non conformi.

Le misure sulle acque di scarico

Come accennato in apertura, per quanto riguarda la raccolta delle acque di scarico, Consiglio, Europarlamento e Commissione concordano sul principio del “chi inquina paga”.

Tuttavia, manca l’accordo sui tempi di applicazione delle norme e delle sanzioni. Per il Consiglio l’obbligo di raccolta delle acque di scarico urbane a partire dal 2035 deve essere previsto per centri abitati con almeno 1.250 abitanti e dalla stessa data andrebbe anche imposto il trattamento secondario, ovvero quello che riguarda i rifiuti organici.

La Commissione propone invece che le nuove regole si applichino ai centri da 1.000 abitanti dal 2031 e l’Europarlamento ad agglomerati da 750 abitanti dal 2032.

Il trattamento di terzo livello, utile per tutelare le acque dall’eutrofizzazione, il processo degenerativo provocato da un eccessivo utilizzo di fertilizzanti, dovrebbe partire dal 2045 e solo per grandi centri urbani che superano le 150.000 abitanti. L’intenzione è estendere gli obblighi di rimozione ai comuni più piccoli dove già è presente un uso eccessivo di fertilizzanti, fosforo e azoto su tutti.

La novità più impattante sotto il profilo metodologico riguarda il trattamento cosiddetto di quarto livello, ovvero quello dedicato alle sostanze microinquinanti. Il risarcimento del danno in questo caso è proporzionato al numero di persone coinvolte e sarà quindi maggiormente oneroso per le grandi aziende. La proposta delle Commissione è che questo step diventi operativo per i centri urbani con oltre 250.000 abitanti dal 2045.

Cosa si intende per microplastiche

Dalle misure adottate dalla Commissione europea, si evince l’ampia definizione di microplastica che ne dà l’istituzione.

Con il termine microplastica si intendono tutte le particelle di polimeri sintetici inferiori a cinque millimetri che sono organiche, insolubili e resistono alla degradazione.

Ecco nello specifico alcuni prodotti vietati dalle nuove restrizioni comunitarie:

cosmetici, in cui la microplastica viene utilizzata per molti scopi, come l’esfoliazione della pelle o l’ottenimento di una consistenza, fragranza o colore specifici; glitter;

detersivi e ammorbidenti;

– il materiale di riempimento granulare utilizzato sulle superfici sportive artificiali che rappresentano la più grande fonte di microplastiche intenzionali nell’ambiente, come riporta economiacircolare.com;

fertilizzanti e prodotti fitosanitari

Va specificato che sono esclusi dal divieto di commercializzazione i prodotti che contengono microplastiche ma non le rilasciano o il cui rilascio è minimo; prodotti utilizzati solo all’interno dei siti industriali che non comportino la pericolosità ambientale del prodotto finito; prodotti già regolamentati da altre normative Ue (medicinali, alimenti e mangimi per animali su tutti).

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