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L’economia italiana ed europea sta imparando a gestire i rischi Esg. Questo, in sintesi, è quanto emerge dal rapporto Consob “Principali tendenze in tema di investimenti sostenibili e criptoattività”, che analizza l’andamento del Sustainalytics Esg risk score da dicembre 2019 a dicembre 2022.

Questo significa una maggiore prontezza nell’affrontare non solo le calamità naturali, sempre più frequenti a causa del surriscaldamento climatico, ma anche le sfide di equità sociale e lavorativa verso le quali è aumentata anche la sensibilità del mercato.

Il Sustainalytics Esg risk score quantifica infatti l’esposizione delle società a fattori di rischio Esg come i cambiamenti climatici, il rischio di transizione, le condizioni di lavoro inique, la mancanza di inclusione sociale, la trasparenza nella governance, le politiche di remunerazione del management.

Visto da vicino

Disaggregando settorialmente l’indicatore, la Consob rileva che in media l’esposizione ai fattori di rischio delle utilities e delle società che producono energia è più elevata rispetto a quella delle imprese appartenenti al settore manifatturiero e al comparto finanziario.

Un elemento fondamentale per valutare queste prestazioni è la volatilità, che indica la variazione percentuale del prezzo di uno strumento finanziario nel corso del tempo.

Nel contesto dell’eurozona, l’andamento dell’indicatore di “greenium”, ossia del premio al rischio connesso con la eco-sostenibilità di un’impresa che si basa sui rendimenti delle società quotate, mostra una significativa volatilità soprattutto in corrispondenza di periodi di stress sui mercati finanziari e un trend crescente da maggio 2020.

La gestione dei rischi Esg in Italia

Gli Esg risk scores registrati in Italia si attestano su valori in linea con quelli dell’area euro, ma cambia la composizione a livello settoriale dato che l’esposizione ai fattori di rischio del comparto finanziario appare in media più elevata rispetto al settore corporate.

L’autorità di vigilanza evidenzia come il gruppo di imprese con score di sostenibilità più elevato si differenzi dall’altro gruppo solo per la dimensione e la liquidità. In sostanza, il cluster di società con rating Esg più alto è rappresentato dalle imprese con maggiore liquidità e capitalizzazione mentre non si registrano differenze significative tra i due gruppi in termini di performance, volatilità e valutazioni di mercato.

L’analisi delle obbligazioni ESG inclusa nel rapporto si fonda sull’identificazione dei titoli sulla base degli International Capital Market Association (Icma) principles e si focalizza sui titoli quotati in Italia. Ne emerge che circa il 12% circa delle obbligazioni Esg così definite non è incluso nella lista dei “Green e Social bonds” di Borsa Italiana. In pratica c’è un forte disallineamento tra la classificazione internazionale del profilo di sostenibilità e quella italiana.

Rilevanza ai piccoli investitori

Un altro aspetto interessante riguarda i tipi di investimenti Esg del mercato italiano. Il rapporto Consob “Principali tendenze in tema di investimenti sostenibili e criptoattività” evidenzia che le obbligazioni Esg sono prevalentemente:

– green bonds (53%);

– appartenenti al settore sovranazionale (54%);

– con una durata compresa fra i 7 e i 10 anni (43%),

– rivolti al piccolo investitore: il 54% dei titoli Esg quotati su Borsa Italiana presenta un lotto minimo minore uguale a 1.000 euro, quindi accessibile agli investitori retail;

– negoziati sul segmento di mercato Mot (69%).

Infine, la classificazione dei fondi aperti sostenibili disponibili per la vendita in Italia è stata effettuata adottando i criteri di Mornigstar per l’identificazione dei fondi Esg. Il risultato è positivo, considerando che la maggiore parte dei fondi che possono essere negoziati in Italia presenta un Morningstar sustainability rating superiore alla media (59%), ma la nota negativa è che solo l’8% è domiciliato in Italia.

Le prospettive future

Attualmente il volume degli investimenti cosiddetti green ammonta a 154 miliardi di dollari all’anno, una cifra che dovrà triplicare entro il 2030, raggiungendo i 484 miliardi di dollari all’anno per rispettare i parametri fissati dagli Accordi di Parigi e dagli altri accordi sovranazionali e internazionali.

Questo è quanto suggerito dagli esperti durante il summit europeo “Business and Nature Summit” di ottobre, la conferenza dedicata alla creazione di modelli di business sostenibili che pongono al centro la biodiversità.

Durante l’evento si è evidenziato come questi investimenti non solo generino benefici ambientali, ma anche significative opportunità economiche, compresi 395 milioni di nuovi posti di lavoro e 10 mila miliardi di dollari di entrate aggiuntive entro il 2030.

Il summit europeo “Business and Nature Summit”, co-organizzato dal Forum per la Finanza Sostenibile insieme alla Commissione Europea, alla Piattaforma Europea per il Business e la Biodiversità, Etifor e la Regione Lombardia, ha riconosciuto agli operatori finanziari un ruolo cruciale nell’incremento di questi investimenti e nell’attuazione di azioni efficaci per tutelare il clima e la biodiversità, sollecitando una maggiore sinergia pubblico-privato nella finanza Esg.

In questo senso va anche l’European Green Bond, il ‘bollino Ue’ per le obbligazioni sostenibili. Si tratta di uno standard volontario che conferisce una sorta di “marchio premium” ai green bond. Quindi, le società emittenti europee possono continuare ad emettere obbligazioni verdi secondo altri standard, ma senza alcuna certificazione, a differenza di quelle ‘marchiate’ col bollino Ue che verranno ritenute più affidabili dagli investitori, sempre più attenti alla trasparenza delle imprese in ambito Esg.

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