In Ue crescono zone a basse emissioni, Italia resta in coda
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Oltre 300 città europee hanno una zona a basse emissioni (in inglese Lez- low-emission zone) e saranno oltre 500 nel 2025. Tra il 2030 e il 2035 quasi 30 città europee tra Paesi Bassi, Regno Unito, Francia e paesi scandinavi trasformeranno le loro zone a basse emissioni in zone a zero emissioni, di fatto impedendo alle auto inquinanti di accedere alla propria area urbana. L’Italia invece resta in coda e neanche le città ‘carbon neutral’ accelerano sulle zone a basse emissioni. Questi i principali dati raccolti dalla campagna Clean Cities, nel rapporto lanciato mercoledì 20 luglio, “The development trends of low- and zero-emission zones in Europe”, disponibile online.
Nel corso dell’ultimo decennio le zone a basse emissioni sono diventate uno strumento sempre più diffuso di regolazione del traffico e riduzione degli inquinanti dell’aria con un impatto positivo anche sul clima. Ma cosa sono? Le zone a basse emissioni sono uno strumento di restrizione del traffico veicolare che vieta, salvo eccezioni, la circolazione a determinate categorie di veicoli inquinanti all’interno di un’area urbana chiaramente definita. Per intenderci la zona a traffico limitato (Ztl), strumento più familiare in Italia, restringe l’accesso a tutte le categorie di veicoli, salvo eccezioni (generalmente applicate a residenti e operatori commerciali); mentre una zona a basse emissioni restringe l’accesso prevalentemente sulla base del tipo di veicolo e della sua classe di inquinamento con riferimento alla normativa europea (Euro 0 – Euro 6).
In Italia si registra un numero elevato di misure di restrizione del traffico inquinante, prevalentemente grazie a schemi di livello regionale e provinciale che restringono la circolazione dei veicoli inquinanti nei soli mesi invernali e durante specifiche fasce orarie. Tuttavia, sono ancora poche le vere zone a basse emissioni sul modello di Area C e Area B a Milano. La maggior parte delle Lez italiane non sono infatti sottoposte a controlli sistematici (ad esempio tramite varchi elettronici) o almeno regolari da parte della polizia locale. Inoltre mancano una comunicazione efficace rivolta ai cittadini e piani per il rafforzamento nel tempo delle restrizioni.
“Le zone a basse emissioni funzionano. È però essenziale che i sindaci comunichino efficacemente e per tempo, e che siano presenti misure di supporto alla transizione, quali ad esempio schemi che diano un accesso gratuito ai servizi di trasporto pubblico e di sharing mobility a fronte della rottamazione dei veicoli inquinanti. Le automobili stanno soffocando le nostre città, è ora di ricominciare a respirare” ha commentato Claudio Magliulo, Responsabile italiano della campagna Clean Cities. In una guida pubblicata oggi ‘Zone a basse emissioni: la formula giusta’, la campagna Clean Cities propone un decalogo delle zone a basse emissioni, dal definire gli obiettivi e le tempistiche alla comunicazione, dal sostegno alle alternative all’auto alla sistematica raccolta dei dati.
Uno dei requisiti chiave, inoltre, è che la città pianifichi di trasformare la Lez in una zona a zero emissioni, idealmente entro il 2030, cosa che nessuna città italiana ha piani in questo senso, al momento. Eppure ben nove città italiane sono state recentemente selezionate dalla Commissione Europea per la missione “100 Climate-Neutral and Smart Cities”, impegnandosi a raggiungere la neutralità climatica (vale a dire, zero emissioni nette) entro il 2030. Sono Bergamo, Bologna, Firenze, Milano, Padova, Parma, Prato, Roma e Torino.
“È evidente che se le città italiane fanno sul serio, non potranno raggiungere la neutralità climatica senza eliminare dalle proprie aree urbane i veicoli inquinanti nell’arco di questo decennio. Si tratta di una sfida complessa, ma tecnologicamente alla nostra portata. Servono lungimiranza, coraggio politico e attenzione al creare una transizione giusta che non lasci indietro nessuno” ha concluso Magliulo.
(AdnKronos)
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