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L’ombra di una scissione torna ad allungarsi su un partito politico. Anzi, su un Movimento. Questa volta a far parlare di divisioni interne sono le tensioni esplose nel Movimento 5 stelle e, nel dettaglio, quelle tra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Uno scontro frontale tra opposte fazioni che non è affatto una novità per la politica italiana. Sono numerose le liti e le scissioni del passato che hanno finito per dare vita a partiti piccoli, medi e grandi fino ai principali protagonisti della nostra storia parlamentare.

A sinistra le scissioni non si contano. La più importante di tutte, probabilmente la più importante in assoluto per gli effetti sulla politica italiana, è quella del 1921: al congresso di Livorno del Partito socialista italiano l’ala dei massimalisti decide di uscire per fondare il Partito comunista italiano.

I socialisti non sono mai stati da meno. Basta solo ricordare il Psdi di Giuseppe Saragat nato nel ’47 per la celebre scissione dal Psi di palazzo Barberini.

In tempi più recenti, siamo nel ’91, Achille Occhetto guida la svolta e il Pci diventa Pds. Ma fronte del no di Armando Cossutta e Fausto Bertinotti si oppone e nasce, sempre per scissione, Rifondazione comunista. Che a sua volta subirà altre scissioni nel tempo.

Arriva il nuovo millennio, nel 2007 Ds e Margherita decidono di fondersi per creare il Pd. Alcuni esponenti dell’ex Pci guidati da Fabio Mussi non ci stanno, lasciano e creano Sinistra democratica.

Il Pd resiste in forma unitaria fino al 2010, quando il co-fondatore Francesco Rutelli dice addio per fondare Alleanza per l’Italia, dopo la vittoria alle primarie di Pier Luigi Bersani. A sua volta Bersani saluta i dem nel 2015, quando con un gruppo di ex Ds (tra cui Roberto Speranza e Massimo D’alema) per scissione crea Articolo 1 in contrapposizione con la guida di Matteo Renzi. Il quale sbatte la porta nel 2019 per creare Italia viva insieme ad alcuni suoi fedelissimi come Maria Elena Boschi.

Se a sinistra ci vuole la bussola, il centro non è da meno. Soprattutto in seguito allo scossone provocato dalla fine della Democrazia cristiana. Più che vere e proprie scissioni, gli eredi duellano per anni sui resti dello scudo crociato. Così dai primi anni ’90 in poi nascono i Ccd di Pier Ferdinando Casini, il Ccd di Rocco Buttiglione, il Ppi di Mino Martinazzoli, la Rete di Leoluca Orlando, l’Udeur di Clemente Mastella. Ma sono solo alcuni esempi.

Anche a destra non mancano i casi. Tra gli altri, quando nasce Alleanza nazionale, siamo nel ’95, l’ala più radicale del Msi che si riconosce in Rauti lascia e fonda il Movimento sociale fiamma tricolore.

Ma l”istituto’ della scissione rimane in auge anche nella seconda Repubblica, come dimostrano le vicende del Popolo della libertà. Il caso più celebre è l’addio di Gianfranco Fini dopo il “che fai, mi cacci?” rivolto a Silvio Berlusconi: nel 2010 l’ex leader di An lascia e fonda Futuro e libertà. Ma altri ex An fanno lo stesso: Giorgia Meloni nel 2013 saluta il Cavaliere e crea Fratelli d’Italia.

Nel 2015 dal Pdl si torna a Forza Italia, dopo le vicissitudini di Berlusconi costretto a lasciare il seggio in Senato, ed è Angelino Alfano a promuovere una scissione creando il Nuovo centrodestra. Da allora il centrodestra si disperde in tante sigle, tra cui Conservatori e riformisti (di Raffaele Fitto), Ala (di Denis Verdini), Idea (di Gaetano Quagliariello), Gal.

(AdnKronos)

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