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Tenere bene aperti i rubinetti del gas, che porta soldi e tiene legate le economie europee, e far pesare più a lungo possibile la crisi del grano. Vladimir Putin ha scelto di affiancare le armi economiche a quelle convenzionali da tempo ma negli ultimi giorni ha affinato la sua strategia, rendendola anche esplicita attraverso le sue relazioni e sui colloqui, a partire da quello con il premier italiano Mario Draghi.

Le risposte che sono arrivate dopo le sollecitazioni del Presidente del Consiglio sono in linea con una strategia che vuole capovolgere gli effetti delle sanzioni internazionali e arrivare a negoziare più tardi possibile una pace che possa portare alla Federazione Russa tutti i risultati possibili. Con una pressione che si alza non solo sul piano militare ma anche sul piano economico. E che poggia anche, come dall’inizio della guerra, sulla propaganda. La ricostruzione putiniana è collaudata: la crisi alimentare non è colpa della guerra mossa dalla Russia ma delle sanzioni; non sono i furti e l’assedio russo ma sono le mine ucraine a bloccare i porti; la soluzione c’è, le navi si possono liberare togliendo le sanzioni.

Il salto di qualità che prova a fare Draghi, consapevole di avere pochissime possibilità di successo, è quello di focalizzare l’attenzione su un problema, la crisi alimentare globale che deriva dal blocco del grano, e sulle possibili soluzioni, che possono arrivare solo se concordate tra Russia, Ucraina e comunità internazionale. L’obiettivo è quello di trovare il modo per far dialogare le parti che finora hanno rifiutato qualsiasi timido approccio alla collaborazione. E l’ostacolo principale è la convenienza, che per ora sembra non esserci o quanto meno che per ora non viene ammessa, da parte russa.

Quella di Mosca è nei fatti una posizione che da un punto di vista del ricatto sulle materie prime si rafforza con l’allungarsi del conflitto in Ucraina. Perché il tempo è un fattore che complica la situazione per chi non riesce a rendersi indipendente dal gas e, soprattutto, per chi non può fare a meno del grano dell’Ucraina. Per fare passi avanti, servirebbe una disponibilità che non sia solo umanitaria o di buon senso, terreni sui cui Putin ha dimostrato ampiamente di voler rimanere sordo, ma che possa far intravedere un vantaggio per le mire di Mosca. Una condizione difficile da mettere sul tavolo e che finisce facilmente in contrasto con l’esigenza opposta, quella di Volodimir Zelensky, di non cedere ulteriore terreno e di non aprire nuovi varchi all’oppressione russa.

Non solo. Iniziare ad affrontare singoli problemi, quello del grano ma inevitabilmente anche quello del gas perché l’unica arma efficace, l’embargo, non conviene a nessuno, può essere anche un approccio di metodo che può contribuire a creare le condizioni per modificare lo scenario. Nelle intenzioni di Draghi, una prima collaborazione sullo sblocco dei porti può rappresentare un precedente che poi può essere replicato in passi successivi, fino alla pace.

D’altra parte, però, una collaborazione reale, anche se limitata a un solo obiettivo, sarebbe per Putin un passo verso l’allentamento della morsa in cui ha stretto l’Ucraina dal giorno dell’invasione, il 24 febbraio. Per farlo, dovrebbe riconoscere, e prima ancora anche solo comprendere, che la guerra a oltranza sta facendo danni irreversibili per tutti. Difficilmente lo farà, fino a quando l’avanzata nel Donbass, lenta ma costante, lo conforterà nell’idea di poter massimizzare ancora i risultati finali della sua guerra.

Restano non solo i buoni propositi ma anche tutte le ragioni di opportunità del tentativo di mediazione di Draghi. Dopo tre mesi di guerra, con il costo pagato in vite umane e in risorse economiche che sale continuamente, un’iniziativa europea concreta, fondata su ragionevoli presupposti e senza banalizzare il sacrificio della popolazione ucraina, è l’unica strada percorribile per lavorare a una soluzione del conflitto. Potrebbe non essere questa la mossa che cambia il gioco ma vale la pena andare a verificarla sul tavolo.

(Fabio Insenga – AdnKronos)

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