
Scoperto uno dei meccanismi chiave dell’invecchiamento cerebrale: lo stallo dei ribosomi
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Una ricerca internazionale guidata dalla Scuola Normale di Pisa individua un difetto nella sintesi proteica come innesco del declino cognitivo. Lo studio pubblicato su “Science”
Uno stallo nella sintesi delle proteine cerebrali potrebbe essere la causa primaria dell’invecchiamento del cervello. È quanto emerge da una ricerca internazionale coordinata dalla Scuola Normale Superiore di Pisa, in collaborazione con l’Istituto Leibniz di Jena, la Stanford University, la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli e l’Università di Trieste. I risultati dello studio sono stati pubblicati ieri sulla rivista Science, con il titolo “Altered translation elongation contributes to key hallmarks of aging in killifish brain”.
Al centro dell’indagine il Killifish turchese (Nothobranchius furzeri), un piccolo pesce africano dalla brevissima durata di vita (meno di un anno), che da oltre vent’anni è stato introdotto a Pisa dal fisiologo Alessandro Cellerino come modello sperimentale per lo studio dell’invecchiamento.
Il difetto che altera il processo di sintesi proteica
I ricercatori hanno osservato che nel cervello dei Killifish anziani i ribosomi tendono a “stallarsi”, ovvero a bloccarsi in punti precisi dell’RNA, impedendo la normale produzione di proteine complete. Il risultato è la formazione di proteine incomplete e insolubili, che si accumulano nelle cellule, compromettendone la funzionalità.
“La scoperta sorprendente – spiega Cellerino – è che questo stallo non colpisce tutti gli RNA in egual misura, ma colpisce soprattutto le proteine che compongono i ribosomi stessi e quelle coinvolte nella regolazione di DNA e RNA”. In pratica, viene compromessa la produzione dei macchinari cellulari fondamentali, generando un circolo vizioso che accelera l’invecchiamento cellulare.
Dati coerenti anche nel cervello umano
Il fenomeno osservato non è limitato al pesce Killifish. Una riduzione delle proteine che legano l’RNA è stata documentata anche nel cervello umano da un team dell’Università di San Diego, con uno studio pubblicato a giugno 2025. Questo rafforza l’ipotesi che il blocco nella traduzione proteica rappresenti un meccanismo condiviso tra specie nel processo neurodegenerativo.
Verso nuove terapie per rallentare il decadimento cognitivo
“Abbiamo ora una chiara ipotesi di partenza su cosa scateni il deterioramento cerebrale”, aggiunge Cellerino. Il prossimo passo sarà testare sostanze capaci di ridurre lo stallo dei ribosomi nel cervello del Killifish, per verificarne l’effetto sul declino cognitivo. Se efficaci, questi composti potrebbero aprire la strada a nuove terapie contro le malattie neurodegenerative nell’uomo.
Il progetto è sostenuto anche con fondi PNRR nell’ambito di THE – Tuscany Health Ecosystem, e vede tra i protagonisti Sara Bagnoli, assegnista della Normale recentemente premiata con il Premio L’Oréal – Unesco “Donne nella scienza” per i suoi studi sul Killifish.
Un piccolo pesce per grandi scoperte
Il Killifish si conferma un modello prezioso per lo studio rapido e a basso costo dei meccanismi dell’invecchiamento. La sua struttura cerebrale, analoga a quella degli altri vertebrati, lo rende altamente rilevante anche per la ricerca biomedica sull’uomo. I risultati dello studio pongono le basi per una nuova comprensione dell’invecchiamento cerebrale e per lo sviluppo di strategie terapeutiche mirate.
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(con fonte AdnKronos)
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