Processo Regeni: il drammatico racconto di un testimone
Un cittadino egiziano rivela particolari strazianti su torture e abusi subiti insieme al ricercatore italiano nel 2016
Nel corso dell’udienza davanti alla Prima Corte d’Assise di Roma per il processo sul sequestro e l’omicidio di Giulio Regeni, un testimone protetto, identificato come “delta”, ha raccontato dettagli sconvolgenti sulle torture subite dal ricercatore friulano nelle ore successive al suo arresto al Cairo. Il testimone, un cittadino egiziano che nel gennaio 2016 fu incarcerato insieme a Regeni, ha riferito di aver sentito il giovane italiano essere brutalmente picchiato e torturato.
Il racconto dell’arresto
“Quando mi arrestarono a piazza Tahrir il 25 gennaio 2016, mi portarono al commissariato di Dokki”, ha raccontato l’uomo. “Lì vidi un giovane che chiedeva di poter parlare con un avvocato e con l’ambasciata. Parlava in italiano e in arabo. Successivamente ci portarono via bendati e in auto continuò a chiedere assistenza legale. Quando feci notare che parlava italiano, un ufficiale mi colpì dicendomi: ‘Vuoi fare il traduttore? Lui parla arabo meglio di te'”.
Il testimone ha poi riferito di essere stato trasferito in un centro di detenzione segreto, soprannominato il “cimitero dei vivi”, dove venne separato da Regeni. “Pensai che, essendo straniero, avrebbe ricevuto un trattamento migliore. Invece lo portarono nelle stanze delle torture. Sentivo le urla, le botte. Eravamo in stanze vicine”.
Torture sistematiche
L’uomo ha ricordato le violenze subite: “Ci legarono le mani, ci picchiarono, ci attaccarono ai letti con le manette e usarono l’elettroshock. Portai i segni di quelle torture per mesi”. Dopo il rilascio, ottenuto in cambio di denaro e di un appezzamento di terreno ceduto a un ufficiale, gli fu intimato di lasciare il Paese.
Qualche mese dopo, arrivato in Italia, scoprì dai notiziari la tragica fine di Giulio Regeni e riconobbe il giovane che aveva visto e sentito durante la detenzione.
Una canzone per la libertà
Il testimone ha spiegato che il suo arresto fu causato da una canzone, pubblicata su YouTube, che denunciava la situazione politica in Egitto. Il video aveva raggiunto mezzo milione di visualizzazioni prima di essere cancellato nel tentativo di evitare l’arresto. “Un amico mi avvisò che la polizia mi cercava, ma mi presero comunque al Cairo il 25 gennaio”, ha raccontato.
Il peso della paura
Seduto in aula, il testimone ha confessato il terrore che ancora prova: “Vivo in Italia da cinque anni, ma sono ancora perseguitato dalla paura. Hanno i nomi dei miei familiari e amici. Anche oggi, seduto qui, sono terrorizzato”.
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(con fonte AdnKronos)
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