
Biocarburanti, la sfida di Eni per la decarbonizzazione del settore trasporti
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Carburante dai semi coltivati su terreni degradati. E’ la sfida di Eni portata anche all’Omc, il salone internazionale dell’energia di Ravenna, per una mobilità sostenibile che rispetti i paletti degli accordi 2030. Terreni degradati significa che i semi non vanno in conflitto con la produzione alimentare.
“E’ un modello unico quello dell’Eni – spiega Luigi Ciarrocchi, direttore Ccus, Forestry e Agri-feedstock di Eni – che produce olio vegetale per alimentare le proprie raffinerie. Parliamo di coltivazioni su terreni degradati che coinvolgono centinaia di migliaia di agricoltori. Appena in un paio d’anni dall’inizio dell’attività, abbiamo già coinvolto, soltanto in Kenya, 50mila agricoltori”. I semi derivano dalla coltivazione di terreni degradati ma anche da scarti come i semi della pianta di caucciù o del croton, una pianta spontanea che cresce in Kenya. “Diamo la garanzia dell’accesso al mercato ai produttori, direttamente, senza intermediari – continua Ciarrocchi – e la garanzia dell’accesso alla terra; noi costruiamo degli agrihub, dove spremiamo questi semi. L’olio viene poi inviato alle bioraffinerie per poter produrre biocarburanti sostenibili”.

I carburanti sono l’Hvo, utilizzato sia per il trasporto su strada che su nave, e il Saf per il trasporto aereo. Sono carburanti che contengono componenti di origine vegetale con una impronta carbonica ridotta rispetto ai prodotti fossile, tra il 60 e il 90%. “C’è un vantaggio dal punto di vista della neutralità carbonica – spiega il direttore Ccus, Forestry e Agri-feedstock di Eni – ma c’è anche un vantaggio dal punto di vista sociale: migliaia di agricoltori vengono supportati nello sviluppo economico e sociale. Inoltre c’è la possibilità di utilizzare non soltanto l’olio che deriva dalla spremuta dei semi, ma anche dei sottoprodotti ad alto valore aggiunto, mangimi o fertilizzanti, che possono essere utilizzati sul mercato locale. E’ quindi un esempio reale e concreto di sostenibilità economica, sia per Eni che per i produttori locali, ma anche per la rigenerazione ambientale: nel 2026, noi rigenereremo attraverso la coltivazione dei terreni, 600-700mila ettari che oggi sono degradati. Ultimo c’è l’aspetto sociale, con il coinvolgimento di centinaia di migliaia di agricoltori che hanno una fonte addizionale di reddito”.
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(AdnKronos)
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