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Negli Usa è stato identificato almeno un nuovo ceppo del virus” del vaiolo delle scimmie, “distinto da quello finora unico identificato in tutto il mondo e diffuso anche in quel Paese. L’analisi genetica ha rivelato che, mentre la maggior parte dei casi americani sembra essere strettamente correlata all’epidemia in Europa, due pazienti, uno in Florida e uno in Virginia, hanno versioni del virus che appaiono simili a quella isolata da un paziente in Texas l’anno scorso”. A segnalarlo è il biologo Enrico Bucci, docente negli States alla Temple University di Philadelphia. L’esperto analizza quello che può significare l’aver rilevato queste ‘divergenze’, in un intervento sul ‘Foglio’.

“Sebbene i tre virus divergenti siano chiaramente collegati tra loro e abbiano un antenato comune – scrive Bucci – differiscono l’uno dall’altro di più di quanto non si osservi nel ceppo isolato in Europa. Le persone infette in questi tre casi hanno contratto il virus in Nigeria, uno altrove nell’Africa occidentale e il terzo in Medio Oriente o Africa orientale. Questa apparente ampia diffusione di un virus correlato – uno che differisce dal ceppo epidemico europeo – suggerisce che focolai di vaiolo delle scimmie al di fuori dei Paesi in cui il virus è considerato endemico siano stati innescati da diversi eventi di esportazione, seguiti poi da circolazione locale più o meno diffusa”.

L’ultimo evento “è quello che ha portato all’aumento dei casi che osserviamo oggi, ma evidentemente in precedenza vi sono stati più e più episodi distinti, i quali possono o meno aver dato origine a focolai ampi – osserva – A proposito di questo ultimo punto, è importante notare come solo oggi pazienti infettatisi e campionati nel 2021 siano stati diagnosticati correttamente: questo fatto suggerisce come moltissimi casi potrebbero semplicemente non essere stati rilevati in precedenza”.

Oltre ai tre casi citati, Bucci parla di “un ulteriore paziente, infettato sempre l’anno scorso e campionato poi in Maryland”, che “ha fornito un genoma ancora diverso, più vicino a quello che oggi circola in Europa, ma che potrebbe a sua volta rappresentare un ramo evolutivo finora non identificato”. Al momento, prosegue la riflessione dello scienziato, “appare probabile che qualche evento di massa abbia portato a una forte diffusione nel 2022, ma non sappiamo se e quanto altri focolai, accesi negli anni precedenti, avessero già portato a temporanee espansioni delle infezioni”.

I genomi statunitensi sembrano anche suggerire “una trasmissione da uomo a uomo iniziata già da anni, partita probabilmente nei Paesi in cui il virus era endemico, e successivamente estesa grazie all’aumento del virus con questa capacità”. La natura della malattia e il modo in cui si diffonde, puntualizza l’esperto, “non suggeriscono che stiamo affrontando un’altra pandemia come quella da Sars-CoV-2. Tuttavia, la diffusione non rilevabile in alcune precise comunità prospetta qualche complicazione per la gestione di questo nuovo virus”.

(AdnKronos)

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