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Svelati nuovi misteri sulla iconica ‘macchia rossa’ di Giove. La Grande macchia rossa di Giove è infatti una tempesta anticiclonica dalla profondità ‘contenuta’ ed i nuovi risultati delle misurazioni di gravità del pianeta sono state ottenute dalla sonda Juno della Nasa e rivelano, in uno studio pubblicato su Science, che la grande macchia rossa di Giove, pur molto estesa, non è profonda come si immaginava. Questa scoperta potrebbe spiegare i motivi della sua evoluzione e forse della possibile scomparsa.

“I risultati del nostro studio attestano una massa della tempesta pari a circa la metà dell’intera atmosfera terrestre e poco meno di quella di tutta l’acqua del Mar Mediterraneo, e rappresentano la Grande macchia rossa come un oggetto molto simile a un disco assai esteso (la sua dimensione minore è pari all’incirca al diametro della Terra) ma piuttosto sottile, con caratteristiche che ricordano quelle delle più grandi tempeste terrestri” spiega Daniele Durante del Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale dell’Università la Sapienza di Roma.

I ricercatori della Sapienza ricordano che Giove è il più grande pianeta del sistema solare, con un raggio equatoriale di 71.492 km, ed è composto principalmente da idrogeno ed elio e per questo viene definito “gigante gassoso”. La caratteristica forse più iconica del pianeta è la Grande macchia rossa, una tempesta anticiclonica scoperta probabilmente da Giandomenico Cassini nel 1665. Oggi questa assomiglia a un ovale di dimensioni approssimativamente pari a 16000 x 12000 km, che ne fanno la più grande tempesta del sistema solare, seppur negli ultimi 100 anni, per cause ancora ignote, si sia ridotta considerevolmente. La Grande macchia rossa porta con sé ancora molti interrogativi: uno di questi riguarda la profondità con cui questa tempesta si inabissa dentro Giove.

A questo come ad altri quesiti sulla dimensione del nucleo ha risposto la sonda Juno, realizzata dalla Nasa con un importante contributo italiano. Durante due sorvoli ravvicinati di Giove (febbraio e luglio 2019), la missione Juno della Nasa (in orbita intorno a Giove dal 5 luglio 2016 per studiare i meccanismi di formazione, la struttura interna, la magnetosfera e l’atmosfera del gigante gassoso) ha osservato per la prima volta da vicino la Grande macchia rossa. Poiché l’interno del pianeta non è direttamente osservabile, per comprenderne la struttura più intima si ricorre a misurazioni accurate del campo gravitazionale, che è espressione della distribuzione della massa all’interno del pianeta.

Le misure del campo gravitazionale del pianeta avevano mostrato che i forti venti est-ovest (con velocità fino a 360 km/h), visibili
tracciando il moto delle nubi, si spingono alla profondità di circa 3000 km. Oggi, una nuova ricerca, finanziata in parte dall’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) e coordinata da Marzia Parisi, ex-dottoranda della Sapienza, ora post-doc al California Institute of Technology/Jet Propulsion Laboratory, insieme a un gruppo internazionale di cui fanno parte Daniele Durante e Luciano Iess del Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale della Sapienza, mostra come invece i venti della Grande macchina rossa abbiano una profondità di penetrazione verticale piuttosto contenuta, pari a circa 300 km, assai inferiore a quella dei venti che soffiano nelle bande visibili del pianeta.

I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Science. Con un’orbita molto eccentrica, la sonda Juno è riuscita ad avvicinarsi molto al gigante gassoso, fino a 4- 5000 km al di sopra delle nubi: a queste distanze è possibile avere una elevata sensibilità all’accelerazione gravitazionale esercitata principalmente dalle strutture dell’atmosfera del pianeta. La sonda ha utilizzato lo strumento di radioscienza KaT – Ka-Band Translator, realizzato da Thales Alenia Space-I e finanziato dall’Agenzia spaziale italiana – il cuore dell’esperimento che ha permesso di determinare l’estensione verticale della Grande macchia rossa.

La Grande macchia rossa ha perturbato impercettibilmente l’orbita di Juno, ma l’estrema accuratezza della misura (fino a 0.01 mm/s) ha permesso di catturarne il debolissimo segnale gravitazionale e di stimare così la profondità a circa 300 km.

“Le misure di Juno – conclude Luciano Iess del Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale dell’Università la Sapienza di Roma – hanno fornito la terza dimensione a quel fenomeno dell’atmosfera di Giove che ha attratto l’attenzione di molti di noi, come anche quella degli astronomi da più di trecento anni, mostrando come sia una tempesta superficiale certamente molto estesa, ma ben poco profonda. Questa nuova misura contribuirà a capirne la natura, l’evoluzione e, forse, la sua possibile scomparsa”.

(AdnKronos)

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