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Dalle fonderie all’agroalimentare, fino agli imballaggi. Diverse le filiere che si sono avvicinate allo schema Made Green in Italy grazie anche ai percorsi intrapresi nell’ambito dei progetti europei Life Effige e Life Magis. Questi i temi al centro della tavola rotonda che ha concluso il webinar, in diretta streaming sul sito web dell’agenzia di stampa Adnkronos, dal titolo ‘Made Green in Italy – Il decollo operativo dello schema di certificazione dell’eccellenza ambientale dei prodotti italiani e il suo ruolo nella transizione ecologica‘.


Oggi investire nel migliorare le prestazioni ambientali dei propri prodotti e comunicarle sul mercato non è più parte di una strategia di differenziazione come avveniva negli anni ’90 è una necessità per sopravvivere sul mercato, una sorta licenza ad operare. In questa tavola rotonda raccontiamo le esperienze di filiere che hanno iniziato questo percorso per promuovere lo schema”, sottolinea Francesco Testa, professore associato all’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna.

Andrea Bianchi, di Assofond, spiega che “la scelta di aderire allo schema Made Green in Italy è stata naturale dopo l’esperienza maturata per 4 anni nel progetto Effige grazie al quale abbiamo potuto sperimentare nel settore delle fonderia il metodo del calcolo dell’impronta ambientale”. “Le fonderie sono da sempre legate al tema della sostenibilità perché sono un anello chiave per lo sviluppo dell’economia circolare: non fanno altro che realizzare dei prodotti, spesso tecnicamente complessi, reimpiegando materiali metallici a fine vita; quindi possono favorire lo sviluppo di un sistema economico circolare”, dice.

“Dall’altro è interessante capire dove vanno a finire questi prodotti che in molti casi sono determinanti per contribuire alla decarbonizzazione. Pensiamo all’energia, per esempio: componenti fondamentali per le turbine eoliche sono realizzati in fonderia – continua Bianchi – Oggi le imprese devono spingersi ancora oltre nel loro percorso verso la sostenibilità e qua secondo noi interviene il vero valore del Made Green in Italy. Per noi il punto chiave non è il logo, il vero valore è rappresentato dal percorso che le imprese che aderiscono devono compiere”, ovvero “fare un percorso importante di calcolo dell’impronta ambientale”. Perché avere “la possibilità di dire: abbiamo fatto un calcolo dell’impronta ambientale, queste sono le performance dei nostri prodotti, rappresenta e rappresenterà sempre di più una leva competitiva”.

La difficoltà per la filiera rappresentata da Assosistema (Associazione di Confindustria che opera nel settore della sicurezza igienica dei dispositivi tessili e medici riutilizzabili, sicurezza sul lavoro e Dpi) “è stata quella di identificare la categoria di prodotto dal momento che nel settore delle lavanderie industriali trattiamo fondamentalmente tre prodotti tessili abbastanza differenti”, spiega Matteo Nevi.

Un percorso che è arrivato a definire “l’unità funzionale del nostro servizio, ovvero il chilo di prodotto lavato, sul quale si sono costruiti diversi benchmark sui quali le aziende concorreranno per raggiungere la certificazione del Made Green in Italy che per noi rappresenta un elemento importantissimo, vitale per questo settore nel momento in cui si passa ad una concorrenza sulla sostenibilità ambientale”.

Federico Desimoni illustra l’esperienza di Consorzio Abm. “Rappresentiamo 60 aziende ma anche tutta la filiera – racconta – Ci siamo buttati a capofitto sull’opportunità di sviluppare la Regola di Categoria di Prodotto. Siamo arrivati alla costruzione di questa Rcp che coinvolge tre prodotti: aceto balsamico di Modena, aceto di vino e aceto di mele“. Ora “dobbiamo convincere le aziende su quanto possa essere utile l’utilizzo di questo schema e del logo a livello commerciale. Questo schema può aiutare a trovare un cammino comune, a fare da collante al settore; credo che sia il primo modo concreto di entrare nella dinamica della transizione ecologica”.

Il progetto Made Green in Italy sul tema della sostenibilità e un po’ la punta di diamante per la nostra realtà e noi l’abbiamo colta come un’opportunità”, racconta Vittorio Pisani di Consorzio Tutela Provolone Valpadana Dop.

“Il tema della comunicazione della sostenibilità al consumatore è centrale per le nostre aziende – dice Antonio Feola di Unionfood – Come fanno le aziende ad arrivare in maniera efficace al consumatore finale e a dimostrare tutti gli investimenti e la programmazione delle attività di sostenibilità che fanno? A nostro avviso, il Made Green in Italy può essere uno strumento che facilita questo perché correlare una prestazione ambientale misurata ad una comunicazione trasparente ai consumatori è una parte discriminante“.

“Da diverso tempo avevamo l’esigenza di provare a comunicare con migliore efficacia da un lato la filiera corta, dalla materia prima alla vendita, dall’altro le nostre caratteristiche ambientali dell’imballaggio e ancor prima del materiale legno, oltre alla nostra filiera del riciclo. Provare quindi a comunicare meglio la territorialità e un esempio virtuoso di economia circolare“, sottolinea Gennaro Buonauro di Assoimballaggi.

Quanto all’adesione allo schema “inizieranno le aziende più strutturate ad approfittare di questa opportunità e poi in una fase successiva seguiranno probabilmente quelle più piccoline. Sicuramente sarà una possibilità come stimolo ad un miglioramento continuo delle performance ambientali, che portano anche ad un miglioramento delle performance economiche”, osserva.

Infine un auspicio: “Visto il periodo delicato per la nostra filiera legato all’aumento dei prezzi delle materie prime, tra cui il legno, e quindi alla conseguente mancanza di disponibilità di materiale spero che la diffusione di questo marchio sia uno stimolo ad una gestione delle materie prime, quindi forestale, nazionale che possa rendere le nostre aziende autosufficienti”.

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