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La droga viaggiava via mare dall’America Latina e veniva scaricata in tre porti europei: Anversa, in Belgio, Rotterdam, in Olanda, e Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria. A volte veniva caricata su aerei, eludendo tutti i controlli, e finiva in scali della Spagna per poi raggiungere l’Italia a bordo di camion. Varcato il confine, veniva venduta in Lombardia e Veneto.

Il 13 giugno le manette scattano per 30 indagati a Reggio Calabria, Milano, Bergamo, Bologna e Padova. Due persone vengono arrestate in Olanda, due in Francia, due latitanti italiani in Colombia.  È l’ultimo atto di una complessa operazione su scala globale durata anni, nel corso della quale sono stati sequestrati centinaia di chilogrammi di stupefacenti. Alle indagini dell’operazione “Edera” hanno preso parte i carabinieri del Ros, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia, la polizia colombiana, quella olandese e la gendarmeria francese. Tra gli arrestati sono emersi alcuni nomi che portano alle cosche calabresi. Tutto sembra gravitare attorno alla ‘ndrangheta, a Reggio Calabria e alla provincia di Platì.

È sempre il 13 giugno. Non siamo a Reggio Calabria, ma questa volta a pochi chilometri da Tel Aviv, in Israele. Nelle stesse ore in cui l’operazione internazionale dei carabinieri viene resa nota nel corso di una conferenza stampa a Reggio Calabria, Daniel Cohen, ricercatore dell’Istituto di diplomazia internazionale di Herzliya, sta presentando i risultati di uno studio. Parla di centinaia di tonnellate di cocaina e altre droghe che arrivano ogni anno dall’America Latina nei porti del Belgio e della Germania: sono i traffici al centro degli arresti appena avvenuti in Calabria. Il tempismo è perfetto.

Ma Cohen non parla di ‘ndrangheta. Dice che è con questi traffici che il movimento sciita Hezbollah, braccio libanese della Repubblica Islamica iraniana, si finanzia aggirando le sanzioni statunitensi. Il ricercatore israeliano spiega che sono gli operativi dell’organizzazione mediorientale a tirare le fila del commercio di droga che coinvolge Europa e Sud America e che, secondo le stime della Dea statunitense, muove ogni mese 200 milioni di dollari. Solo il 5 o 10% dei carichi di stupefacenti viene intercettato dalle forze dell’ordine. La ‘ndrangheta non opera in solitudine per il gusto di fare soldi: accanto a lei sono attive organizzazioni che finanziano armi, vendite illecite di tecnologie militari, milizie e guerre. È questo il tassello mancante all’operazione di Reggio Calabria.

I proventi della droga passano nelle mani della ‘ndrangheta e finiscono in quelle di Hezbollah. La lavanderia del riciclaggio è collaudata: il denaro sporco viene investito nell’acquisto di auto usate, gioielli, orologi e beni di lusso. La ‘ndrangheta si butta anche sull’edilizia. Una volta “pulito”, il denaro può entrare nei circuiti bancari europei.

È stato detto tanto, anche troppo sul perché in Italia i nomi degli operativi mediorientali coinvolti nelle indagini sui traffici di droga vengano raramente resi pubblici. Si è parlato di reticenza legata ad accordi segreti di cui, però, non si è mai avuta alcuna prova certa. Resta solo il rincorrersi di episodi simili tra loro che si ripetono ormai da decenni. E non solo in Italia.

Nel settembre del 2015 a Londra servizi segreti e polizia nel corso di un raid scoprirono migliaia di pacchi di ghiaccio contenenti tre tonnellate di ammonio nitrato, un componente comune per fabbricare bombe artigianali. Portavano dritti a Hezbollah. Gli inglesi all’epoca preferirono non far trapelare nulla. Oggi raccontano che si doveva salvare l’accordo sul nucleare iraniano firmato due mesi prima dall’amministrazione Obama: la notizia del sequestro di esplosivo è emersa solo domenica scorsa in un articolo del “The Telegraph”. Stando al quotidiano britannico, altri ordigni sarebbero stati trovati negli ultimi anni in Tailandia, a Cipro e a New York: i nomi degli operativi di Hezbollah che li avevano portati lì sono ancora un mistero.

Monica Mistretta

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