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Sordo a ogni appello di chi gli chiedeva un rinvio di fronte ai dati sconfortanti delle elezioni di midterm, pronto a scaricare su altri le responsabilità sue e dei suoi improbabili candidati per le sconfitte, Donald Trump oggi, come da programma, annuncerà la sua nuova candidatura alla Casa Bianca. Ma in realtà l’universo repubblicano dopo la delusione elettorale appare impegnato a cercare di capire chi possa guidare in futuro il partito che, per la prima volta dal 2016, intravede senza Trump.

In quest’ottica, quindi, per molti finanziatori, esponenti, e ovviamente possibili candidati alle presidenziali del 2024, le deludenti elezioni di midterm costituiscono la migliore opportunità per emarginare Trump – che il Wall Street Journal, voce dei conservatori Usa, ha bollato come “il principale sconfitto di midterm” – e guardare ad una nuova generazione di leader.

E nel novero dei possibili leader post-Trump, ovviamente spicca la figura di Ron DeSantis, il governatore della Florida che, presentandosi come il volto di un trumpismo più accettabile, ha stravinto un secondo mandato, conquistando anche l’area di Miami, bastione dem grazie al voto ispanico. Il repubblicano italoamericano ha vinto con un vantaggio di 20 punti in uno stato che Trump ha conquistato per appena 3 punti.

Nella lista vanno annoverati anche figure note, che sono state vicine a Trump poi hanno avuto con lui un strappo, come l’ex governatore del New Jersey, Chris Christie, e – ovviamente – l’ex vice presidente Mike Pence, tacciato come ‘traditore’ dai sostenitori di Trump che assaltarono il Congresso per impedirgli di ratificare la vittoria di Joe Biden. Emergono anche figure nuove, come il governatore della Virginia, Glenn Youngkin, che nel 2021 ha vinto in uno stato dove Biden aveva avuto 10 punti di vantaggio. E per questo, sostengono i ben informati, è insieme a DeSantis uno dei possibili avversari che Trump teme di più.

Non mancano poi altri ex esponenti dell’amministrazione Trump, come – unica donna della lista – Nikki Haley, ex ambasciatrice all’Onu e Mike Pompeo, che è stato prima direttore della Cia e poi segretario di Stato e che – come del resto Pence – continua ad avere incontri con finanziatori di Trump. Infine Tim Scott, l’unico senatore repubblicano afroamericano che è stato rieletto in South Carolina – ha fatto capire che accarezza l’idea di una candidatura alla Casa Bianca. Raccontando che il nonno ha votato per l’elezione di Barack Obama, ha detto: “Spero che possa vivere a lungo abbastanza per vedere eletto un altro presidente americano di colore, questa volta però repubblicano”.

“La situazione era chiaramente in nostro favore, viste le preoccupazioni per inflazione, migranti e criminalità, ma nonostante questo non abbiamo centrato le aspettative” afferma Marc Short, ex capo dello staff di Pence, sottolineando che ora bisogna chiedersi se le cose sarebbero andate diversamente “con candidati differenti, con uno stile differente”.

Ancora più esplicito Christie, che fu sconfitto da Trump nelle primarie del 2016: “quando Trump vinse nel 2016, disse che noi saremmo stati così stanchi di vincere che gli avremmo chiesto di smettere – ricorda l’ex governatore – nel 2018 abbiamo perso la Camera, nel 2020 il Senato e la Casa Bianca, nel 2022 abbiamo ottenuto risultati deludenti, nonostante l’inflazione, il prezzo del gas ed un presidente al 40%. Sono stanco di perdere, l’unica cosa che ha fatto Trump da quando è diventato presidente è vincere per se stesso”.

Potrebbe, comunque, essere tutta in salita la strada di uno sfidante di Trump alle prossime primarie repubblicane, dal momento che – secondo il sondaggista repubblicano Whit Ayres – l’elettorato Gop si può dividere in tre blocchi, di uno quello degli ‘always Trumpers’, la base sempre per Trump, costituisce il 40%. Infinitamente più piccolo, il 10%, il gruppo dei ‘Never Trumpers”, che si sono opposti da subito e da sempre al tycoonn.

Mentre il rimanente 50% sono i ‘maybe trumpers’, repubblicani che l’hanno votato due volte, in generale lo sostengono, ma sono ora desiderosi di evitare il caos che solitamente l’accompagna. “Sono quindi pronti a sostenere qualcun altro che porti avanti le politiche in modo meno ingombrante – conclude Ayres – la domanda quindi diventa: chi può farlo?”.

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