Oltre 50 conflitti dimenticati scuotono il mondo tra guerre civili e crisi umanitarie
Dal Myanmar al Sahel, dalla Siria allo Yemen, guerre civili, insurrezioni jihadiste e tensioni etniche destabilizzano intere regioni, con gravissime conseguenze umanitarie
Mentre l’attenzione internazionale è concentrata sulla guerra in Ucraina e sul conflitto tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, decine di altri teatri di guerra continuano a destabilizzare vaste aree del mondo. Secondo l’Uppsala Conflict Data Program e rapporti di Human Rights Watch e International Crisis Group, oltre 50 Paesi sono interessati da conflitti armati, violenze etniche e insurrezioni jihadiste.
In Myanmar, la guerra civile esplosa dopo il colpo di Stato del 2021 vede la giunta militare contrapposta alle forze ribelli riconducibili al Governo di Unità Nazionale in esilio. Dal 2024 i ribelli hanno guadagnato terreno nelle regioni Shan e Karen, e il bilancio complessivo supera 50mila morti e 3 milioni di sfollati. La situazione rimane instabile, con violenze continue contro la popolazione civile e restrizioni severe da parte delle autorità militari.
In Sudan, il conflitto tra Forze armate e Forze di supporto rapido, iniziato nell’aprile 2023, ha già provocato oltre 150mila vittime e 12 milioni di sfollati interni. La guerra ha aggravato una crisi alimentare già drammatica e minaccia la stabilità dell’intera regione nordafricana.
La Siria resta fragile anche dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad lo scorso dicembre. Il governo transitorio guidato da Ahmad al-Sharaa fatica a esercitare controllo effettivo sull’intero territorio, e violenze settarie, scontri con milizie pro-Assad e instabilità nelle province continuano a provocare vittime e sfollati. Oltre 16 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria secondo l’Onu.
Nel Sahel, jihadisti affiliati ad al-Qaeda e allo Stato Islamico hanno intensificato gli attacchi in Mali, Burkina Faso e Niger, approfittando del vuoto di potere e dell’instabilità politica. Situazioni analoghe emergono in Nigeria e Etiopia, con violenze diffuse nelle regioni di Amhara e Oromia tra esercito federale e milizie locali. In Somalia, gli al-Shabaab hanno aumentato attentati e raid contro città e obiettivi strategici, con gravi ripercussioni sulla popolazione civile.
In Yemen, il governo riconosciuto dalla comunità internazionale combatte i ribelli Houthi alleati dell’Iran, che controllano ampie zone del Paese, inclusa la capitale Sana’a. La guerra ha provocato decine di migliaia di morti e una delle peggiori crisi umanitarie al mondo.
Situazioni di conflitto si registrano anche in Messico, con scontri tra forze di sicurezza e cartelli della droga, e in Paesi dell’America Latina come Haiti e Venezuela, dove instabilità politica e violenza continuano a minacciare la vita dei civili.
Tra i pochi segnali positivi, alcune guerre sembrano avviarsi verso soluzioni diplomatiche: l’8 agosto, il premier armeno Nikol Pashinian e il presidente azero Ilham Aliyev hanno firmato alla Casa Bianca un impegno per un accordo di pace, mentre il 28 giugno Repubblica Democratica del Congo e Ruanda hanno sottoscritto un’intesa per ridurre le ostilità, ponendo fine al sostegno reciproco a gruppi armati come i ribelli dell’M23.
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(con fonte AdnKronos)
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