
Addio a Nino Benvenuti, leggenda del pugilato italiano e voce dell’esodo giuliano-dalmata
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Campione olimpico a Roma 1960 e due volte campione del mondo tra i professionisti, Benvenuti si è spento a 87 anni. La sua storia è quella di un pugile e di un popolo dimenticato
È morto Nino Benvenuti, leggenda dello sport italiano, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma 1960 e campione del mondo dei pesi medi e superwelter. Aveva 87 anni. A darne notizia sono fonti sportive, confermando la scomparsa di uno dei più grandi pugili della storia italiana, simbolo non solo del ring ma anche della memoria dell’esodo giuliano-dalmata.
Nato il 26 aprile 1938 a Isola d’Istria, oggi in Slovenia, Benvenuti fu testimone diretto della tragedia che colpì migliaia di italiani costretti a fuggire dalle terre d’origine dopo la Seconda guerra mondiale. La sua famiglia fu colpita dalle persecuzioni del regime comunista di Tito: il fratello Eliano fu arrestato dalla polizia politica jugoslava, la madre morì di crepacuore e l’intera famiglia trovò rifugio a Trieste. Nino, giovanissimo, trasformò il dolore in determinazione e trovò nella boxe la via per ricostruire la propria identità.
Il successo arrivò nel 1960, quando conquistò l’oro olimpico nei pesi welter davanti al pubblico italiano. Fu solo l’inizio: da professionista divenne campione mondiale dei superwelter nel 1965, poi dei medi dal 1967 al 1970. La sua rivalità con Emile Griffith è rimasta leggendaria, culminando nei celebri incontri disputati al Madison Square Garden di New York.
Benvenuti non fu soltanto un atleta straordinario. Portò avanti per tutta la vita la memoria delle proprie radici, raccontando l’esodo istriano, le foibe, il silenzio istituzionale durato decenni. “Ci chiamavano esuli, ma noi eravamo solo italiani”, ripeteva spesso, denunciando l’oblio che aveva avvolto quella pagina di storia. La boxe fu per lui una seconda patria, ma la ferita dell’Istria non si rimarginò mai.
Nel libro L’isola che non c’è, scritto con Mauro Grimaldi, e nel fumetto autobiografico Il mio esodo dall’Istria, Benvenuti ha lasciato una testimonianza potente e commossa. “Come alberi, ci hanno strappato le radici”, scriveva, chiedendo giustizia non con rabbia, ma con la forza della memoria.
Il mondo dello sport ha espresso profondo cordoglio. Il presidente del Coni, Giovanni Malagò, lo ha definito “icona senza tempo”, mentre il presidente del Consiglio Giorgia Meloni lo ha ricordato come “simbolo di un’Italia fiera e coraggiosa, testimone instancabile della tragedia dell’esodo giuliano-dalmata”.
Anche la Federazione pugilistica italiana ha reso omaggio al campione con le parole del presidente Flavio D’Ambrosi: “Hai regalato agli italiani quel senso di orgoglio che solo i grandi possono dare. Sei nella storia e nei cuori di tutti”. Commosso il ricordo di Francesco Damiani, ex campione dei pesi massimi, che lo definisce “l’idolo di una generazione”.
Abdon Pamich, oro olimpico nella marcia a Tokyo 1964, ha ricordato il loro legame nato proprio alle Olimpiadi del 1960: “L’Italia perde una delle sue bandiere. Io perdo un amico e un idolo. Le sue vittorie erano la nostra gioia”.
Nino Benvenuti ha rappresentato la forza dello sport e la dignità di un popolo dimenticato. La sua figura resterà per sempre nella storia italiana, dentro e fuori dal ring.
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(con fonte AdnKronos)
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