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Analisi della situazione nel Mar Rosso e nel Medio Oriente

La Marina americana e quella inglese, cooperando assieme nell’operazione  “Prosperity Guardian’’,  in risposta agli attacchi degli Houthi a navi in transito nel Mar Rosso, nelle ultime due settimane hanno continuato, con lanci di missili, a colpire obiettivi, siti sensibili e depositi di quelle milizie, in Yemen. Tali attacchi sono stati condotti con missili da Unità navali e sommergibili, con il supporto essenziale di aerei dotati di “suite’’ di Guerra elettronica, da Droni sia tattici che a lungo raggio del tipo Global Hawk e Predator per la sorveglianza e la ricognizione, ma anche per le loro capacità di “targeting’’ chirurgici degli obiettivi più sensibili. L’attività è configurabile – tutto sommato – come “a bassa intensità’’ nel senso che, pur avendo sicuramente ben chiari gli obiettivi da battere o  annichilire in Yemen, questi sono talmente tanti ed estesi che purtroppo gli Houthi manterranno per lungo tempo la capacità di lanciare missili o droni sulle navi in transito nel Mar Rosso: in sostanza siamo ancora ben lontani dal ristabilire la libera circolazione in quelle acque e nello Stretto di Bab-el-Mandeb.

Differenze tra l’impiego Anglo-Americano e l’iniziativa dell’Unione Europea

Verrebbe da dire, comunque che, per fortuna, ci sono gli americani ben intenzionati a far rispettare quelle “libertà’’ con l’impiego di dovizia di mezzi, nell’ambito di un dispositivo navale di oltre 10 navi dotate di elevate capacità belliche, sommergibili e con l’impiego di parecchi aerei di diversa tipologia basati sulla portaerei Eisenhower e sulle Basi a terra. A fronte di una missione tipicamente bellico-offensiva come quella anglo-americana, finalmente anche l’Unione europea sta programmando una missione – al contrario – tipicamente “difensiva’’ (qualcuno la definisce attiva, con ovvia capacità di usare la forza per autodifesa…) strutturata su solo 3 Unità navali di nazionalità italo-franco-tedesca che dovranno fornire adeguata protezione per le navi mercantili in transito, a fronte della minaccia Houthi. Pur nella convinzione che in caso di attacco quelle navi abbiano adeguate capacità di difesa con positive risposte sia missilistiche, sia con le armi convenzionali, che con l’impiego di contromisure elettroniche, tuttavia è innegabile che si tratta di una “coalition’’ assai risicata, e anche “rallentata’’ nel tempo, atteso che potrebbe essere attivata dopo il 19 febbraio 2024.

In questo complicato scenario, alcune analisi e riflessioni sono pertanto necessarie per capire meglio la situazione e cercare, pur con i limiti del caso, di comprenderne le conseguenze.

In primis, e ancora una volta in modo palese, si evidenzia – amaramente – una scarsa coesione e unità di intenti da parte dei 27 Paesi membri di quella unione Europea che dovrebbe significare ben altro, auspicando per contro un più marcato “offering’’ di assetti se tutti fossero convinti di creare una Difesa Comune per la tutela della libertà, ancorché si tratti di quella della navigazione. Inoltre, nel concreto, anche sotto un profilo meno ideale, gli attacchi iraniani o degli Houthi, che dir si voglia, contro le navi mercantili, sono una minaccia al commercio internazionale, ma penalizza l’Europa e soprattutto l’Italia per i rifornimenti energetici e di materie prime provenienti in larga misura da quelle aree.

Secondo punto, di interesse geostrategico: vista ormai la continua escalation del conflitto Israelo-Hamas nella Striscia di Gaza, con turbolenze riflesse anche in altre aree, quali lo Yemen con il reciproco lancio di missili fra US-UK Navy e Houthi, quindi al confine con il Libano e altro, siamo arrivati “quasi’’ al punto di non ritorno nel martoriato territorio del Medio Oriente, avendo risvegliato vecchie ruggini e rancori mai sopiti, evidentemente.

La guerra a Gaza ha avuto il pregio, si fa per dire, di ricompattare “l’asse del male’’ guidato dall’Iran e dai suoi alleati, dagli Hezbollah agli Houthi, ma anche con un coinvolgimento di milizie sciite anti-Israele in Siria, Libano e Iraq. La formazione di questo “asse’’, già esistente in latenza, ha un significato geopolitico assai rilevante e rappresenta ora una concreta e pesante sfida all’ordine Regionale, già difeso e garantito – seppure con alterne vicende – nel corso dell’ultimo mezzo secolo. Un altro aspetto correlato al conflitto di Gaza, sta dimostrando che non si vince solo con le armi convenzionali, ma pone in risalto l’importanza dei mass-media, dei social, di utilizzo di Instagram, Tik-Tok, ecc, che, ben utilizzati da Hamas, hanno minimizzato la ferocia dei suoi terroristi senza scrupoli e delle nefandezze attuate nei confronti di Israele, riuscendo a deviare addirittura l’opinione pubblica internazionale con annunci umanitari e di pietas fake a favore dei palestinesi e perfino di Hamas, con accuse di colonialismo e aparthaid.

Emblematici sono i video prodotti dagli Houthi in perfetta lingua inglese che mettevano in risalto la necessità di blocco del Mar Rosso, contro gli imperialisti anglosassoni, e di Israele tacciato contestualmente di “genocidio’’ da parte del Sudafrica, alla Corte internazionale di Giustizia: tutto ciò ha provocato manifestazioni pro-Palestina e perfino pro-Hamas, in tutto il mondo e insegna che davvero oggi la guerra non si vince solo e soltanto con le armi classiche ma le psy-ops e le comunicazioni, reali o fake poco importa, si rivelano addirittura più  importanti.

Terza considerazione, ma non meno pregnante delle precedenti: l’impiego delle Unità navali della Marina nel Mar Rosso per contribuire alla libertà della navigazione nell’area e alla protezione, o difesa che dir si voglia, dei bastimenti dagli attacchi degli Houthi, richiede riflessioni “articolate’’ , alcune concettuali. L’approccio di impiegare Navi militari per difendere il traffico mercantile è ovviamente quello più logico e giusto ma va fatto con la necessaria onestà intellettuale, mentre spesso all’argomento ci sono posizioni incomprensibili quanto pretestuose.

Il ruolo della nostra Marina nel Mar Rosso… con necessità di adeguamenti

Intendiamoci: non ci si può ricordare della Marina solo nel momento dell’emergenza, ma bisogna farlo sempre, soprattutto in tempo di pace e rendersi conto che se è legittimo richiedere l’intervento di più navi per un determinato scopo, è anche doveroso capire che già oggi gli equipaggi stanno facendo sforzi e sacrifici enormi per armare le Navi disponibili. Ergo: c’è bisogno di più navi, delle dotazioni necessarie (missili e proiettili compresi…) e quindi di tutti gli strumenti ad esse connesse, ma soprattutto di dotare la Marina degli organici “umani’’ necessari per poterle gestire in modo adeguato, senza affanni o impieghi anomali e del tutto “straordinari’’.

Non si può restare sordi a legittime richieste di “adeguamenti’’ delle tabelle di equipaggiamenti, fatte in modo reiterato in tempo di pace e svegliarsi solo quando in emergenza; i politici e la nostra cosiddetta Opinione pubblica devono riconoscere obiettivamente tale esigenza quando si decide di finanziare la nostra Difesa, anziché fingersi pacifisti, o meglio, pacifinti del momento.

Val la pena ricordare che, nonostante tutto, la Marina è presente nelle operazioni internazionali, in quasi tutte le missioni di pace, sia nelle “coalition’’ che in iniziative singole. E’ significativo il suo apporto, da molto tempo, per tutelare l’interesse primario della Libertà di navigazione, con attività specifica negli Stretti, veri e propri “choke-points’’, il cui transito in sicurezza ha effetti davvero importanti per il nostro benessere e sviluppo, ma anche per la nostra sicurezza sociale. Fra essi, con una panoramica nel Medio Oriente, si menzionano le 3 Unità navali che operano nell’ambito MFO, Multinational Force Observers, in modo permanente dai primi anni ‘80 per la sorveglianza dello Stretto di Tiran, a seguito degli accordi di Camp David fra Israele ed Egitto, fino ad arrivare alle  attività anti-pirateria nel Bacino Somalo, a partire dal Golfo di Aden e Corno d’Africa, in cui opera da oltre 20 anni una nostra Fregata nell’operazione ATALANTA, nonché con la partecipazione di una nostra ulteriore Unità nel pattugliamento dello Stretto di Hormuz, con l’operazione “Agenor-EMASoH’’.

Né possiamo scordare che, nel cosiddetto “Mediterraneo Allargato’’ va riscontrata la presenza di una Fregata italiana nel Golfo di Guinea per il contrasto anti-pirateria, della criminalità organizzata e per garantire quindi la libera navigazione.

Ora, oltre quella consistente attività negli Stretti, c’è alla ribalta un’altra richiesta di sorveglianza nel Mar Rosso, a tutela della sicurezza della navigazione e dei traffici mercantili attraverso lo Stretto di accesso di Bab-el-Mandeb. La Marina ha giustamente subito offerto una Fregata tipo FREMM per la futura operazione “ASPIS’’ anche se ritengo che avrebbe desiderato o potuto incrementare ulteriormente la sua presenza in quel delicato teatro, soprattutto perché la crisi di Suez impatterà in modo estremamente negativo sugli interessi nazionali, con rincari generalizzati (già oggi le nostre perdite assommano, pare, a oltre 100 milioni di euro al giorno) e parziale paralisi dei porti italiani.

In conclusione queste considerazioni fanno emergere in modo netto:

  • la necessità di disporre di uno strumento navale europeo, pronto, flessibile e proiettabile per far fronte alle crisi con immediatezza ed efficacia; in effetti esiste già una Forza Marittima Europea, la EUROMARFOR, con scenari tipizzati e assetti a geometria variabile, dalle Fregate ai Cacciamine, che tuttavia va ampliato fra la gran parte dei Paesi membri, senza ambiguità e sciocche invidie.
  • non dovremo inoltre avere dubbi sull’impiego “forte’’ della nostra Marina che ha delle Navi assai moderne (dalle Fregate FREMM, alla classe Doria, ai nuovi Pattugliatori PPA, ecc) con evidenti capacità sia di esercitare il Comando di una Task Force, e di gestire le operazioni da un suo Quartiere Generale), nonché di controllare e difendere il traffico mercantile da eventuali attacchi, impiegando le dotazioni missilistiche a medio e corto raggio, ma proficuamente anche i sistemi convenzionali, i cannoni OTO 76/62 il cui scopo primario, guarda caso, è proprio quello di fare uno “scudo’’ con una gragnola di colpi, contro missili a bassa quota, sul mare.

Se domani non ci saranno più gli anglosassoni a replicare agli attacchi terroristici degli Houthi, e quindi a difenderci, dovremo essere comunque pronti anche a prenderne il compito e il ruolo senza le solite ambiguità e bizantinismi, tipici della nostra opinabile storia. E la Marina lo può fare, politicamente volendo, anche ora sulla scia della sempre attuale visione strategica di Alfred Mahan per cui la libertà di navigazione ed il potere marittimo sono elementi essenziali per lo sviluppo sociale ed economico delle Nazioni “Chi controlla il mare, comanda la terra” non è uno slogan, ma una realtà del tutto attuale.

La necessità di una Diplomazia Efficace

Non saranno certo i bombardamenti in Yemen e gli attacchi Houthi a dare una svolta alla crisi e portare la pace, ma l’impiego continuo e professionale delle Marine per il controllo della Libertà di navigazione per il transito negli Stretti, è comunque essenziale. E, essendo la loro opera intimamente connessa con il conflitto Israelo-Hamas, tale attività continuerà con la consueta efficacia, ma non sarà determinante per la soluzione di quella deprecabile crisi. Dovrà infatti essere la comunità internazionale e la diplomazia ai massimi livelli muoversi con la dovuta priorità per addivenire ad un corretto e giusto accordo-negoziato diplomatico fra le parti in causa, tenuto conto che se ciò non dovesse avvenire, quel malefico “asse’’ creato e consolidato dallo stesso conflitto sconvolgerà e penalizzerà  non solo il Medio Oriente, ma tutto l’Occidente per molti anni a venire.

Giuseppe Lertora

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