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L’Italia investe nell’auto quasi 100 volte più che nella bici: 98 miliardi di euro per il settore automotive e le infrastrutture stradali contro poco più di un miliardo per bonus bici e ciclabili urbane ed extraurbane. Questo senza contare riduzione delle accise e altri sussidi ambientalmente dannosi. Il risultato è che l’Italia, sul piano della ciclabilità, è il fanalino di coda del contesto europeo: le città italiane hanno una media, secondo i dati Istat, di 2,8 km di ciclabili per diecimila abitanti, con grandi disparità territoriali, da zero km in molti capoluoghi del Centro-Sud ai 12-15 km di Modena, Ferrara, Reggio Emilia, considerando i chilometri medi, superiori, di Helsinki (20 km/10.000 abitanti), Amsterdam (14 km/10.000 abitanti) o Copenaghen (8 km/10.000 abitanti). È questo il punto di partenza da cui Clean Cities, Fiab, Kyoto Club e Legambiente, sono partite per la realizzazione del dossier ‘L’Italia non è un paese per bici’, documento che mostra come, per colmare il gap con il resto d’Europa, alle città italiane servono 16.000 km di ciclabili in più (rispetto al 2020), per un totale di 21.000 km al 2030.

Da una stima prudenziale del fabbisogno economico, l’investimento dovrebbe essere di almeno 3,2 miliardi di euro nell’arco dei prossimi sette anni, pari a 500 milioni di euro all’anno, ovvero appena il 3,5% di quanto già stanziato per il comparto auto e le infrastrutture connesse, ma molto di più di quanto predisposto fino ad ora per la ciclabilità. La proposta delle organizzazioni rivolta al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (Mit) e al nuovo Parlamento è quindi di integrare il Piano Generale della Mobilità Ciclistica, approvando un piano straordinario di investimenti per la ciclabilità nella prossima legge di bilancio, con uno stanziamento di 500 milioni di euro all’anno fino al 2030.

“La nostra analisi ci dice tre cose: uno, che spendiamo tante, troppe delle nostre tasse per sovvenzionare l’uso dell’automobile privata, e pochi spiccioli per dare a tutti la possibilità di muoversi in bicicletta; due, che le nostre città sono ancora molto poco ciclabili, e che vasta parte degli attuali progetti di sviluppo della ciclabilità non sono sufficienti a consentire un vero salto di qualità; tre, che per rendere le nostre città ciclabili davvero basterebbe investire poco più di tre miliardi di euro, tanto quanto stiamo spendendo ogni tre mesi per abbassare un pochino il prezzo di diesel e benzina”, osserva Claudio Magliulo, responsabile italiano della campagna Clean Cities.

Le organizzazioni propongono inoltre: la creazione di una struttura tecnica incardinata nel Mit, con budget dedicato, che coordini il Piano nazionale per la ciclabilità; finanziamenti per sharing mobility nelle città poco appetibili per i grandi operatori di bike-sharing; l’istituzione di un fondo per la promozione della ciclabilità con sgravi, incentivi ad hoc e accordi di mobility management con le aziende; l’obbligo per i nuovi progetti infrastrutturali di prevedere connessioni intermodali; la promozione dell’accesso delle bici ai treni regionali con adeguata fornitura di posti e scontistica sugli abbonamenti; una grande campagna di sensibilizzazione sulla bicicletta come mezzo di trasporto per gli spostamenti quotidiani per lavoro e studio; un programma di formazione e sensibilizzazione degli enti locali sui recenti sviluppi legislativi in tema di ciclabilità.

Per la realizzazione del dossier, le organizzazioni hanno analizzato, partendo dai dati Istat, i chilometri di corsie o piste ciclabili per diecimila abitanti al 2020 e i chilometri aggiuntivi previsti da Pums e biciplan. Nel confronto con le grandi città europee alcune città italiane spiccano in positivo, ma oltre la metà dei comuni capoluogo hanno poche o pochissime ciclabili e sono in classe F o G nel rating proposto (dove A+ è il livello più alto, G il più basso). Le ciclabili sono cresciute del 20% tra il 2015 e il 2020, ma oltre un terzo dei Comuni non ha costruito un solo chilometro in più, o ne ha addirittura rimossi alcuni. Le disparità territoriali sono grandissime: nella top 10 ci sono solo città del Nord, mentre in coda alla classifica si trovano quasi solo città del Centro-Sud. La buona notizia è che molti Comuni hanno piani ambiziosi che in alcuni casi li vedrebbe scalare fino a cinque classi nell’analisi proposta.

Per Raffaele Di Marcello, consigliere di Presidenza di Fiab, Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta, e Responsabile Centro Studi Nazionale Fiab, “la situazione infrastrutturale delle nostre città, per quanto riguarda i percorsi ciclabili, è ancora da migliorare. Poche piste ciclabili, spesso non collegate tra loro, e mancanza di una visione che metta insieme pianificazione urbanistica e mobilità sostenibile, rendono difficile, e spesso impossibile, utilizzare la bicicletta come mezzo alternativo all’automobile”. Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club, sottolinea che “i dati del dossier ciclabilità mostrano con chiarezza che le nostre città devono colmare un ritardo notevole rispetto alle più avanzate realtà europee. Nelle nostre aree urbane sono ancora i veicoli a combustione fossile a farla da padrone. È necessaria una vera e propria ‘rivoluzione culturale’ che ponga invece al centro la mobilità attiva, pedonale e ciclabile, ripensando l’utilizzo degli spazi delle nostre città”. “Bisogna cambiare il paradigma della mobilità nelle città, pianificando lo spazio stradale con nuove gerarchie: più spazio a pedoni, ciclisti e intermodalità e meno a spostamenti privati in auto. Ma servono risorse certe e incentivi stabili che permettano di realizzare connessioni efficienti come insegna la bicipolitana che si sta diffondendo in tutta Italia”, spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente.

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(AdnKronos)

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