Smart working, quanto ci costa e quanto si risparmia
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Smart working, quanto ci costa e quanto si risparmia? A tracciare il quadro dei pro e dei contro è una ricerca dell’Osservatorio smart working della School of management del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno ‘Smart Working: Il lavoro del futuro al bivio’.
Il caro bollette, spiega la ricerca, pesa circa 400 euro l’anno su chi lavora da casa due giorni a settimana, ma il saldo per il dipendente resta comunque positivo per 600 euro, dato che lo smart worker che lavora due giorni a settimana da remoto risparmia in media circa mille euro all’anno per effetto della diminuzione dei costi di trasporto.
La convenienza è maggiore per le aziende: consentire ai dipendenti di svolgere le proprie attività lavorative fuori della sede per due giorni a settimana permette di ottimizzare l’utilizzo degli spazi isolando aree inutilizzate e riducendo i consumi, con un risparmio potenziale di circa 500 euro l’anno per ciascuna postazione. Se a questo si associa la decisione di ridurre gli spazi della sede del 30%, il risparmio può aumentare fino a 2.500 euro l’anno a lavoratore.
“Nel complesso lo smart working comporta una generale riduzione dei costi sia per i lavoratori sia per le aziende che lo adottano”, spiega Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio del Politecnico, suggerendo che “in questo momento di grave tensione su costi energetici e inflazione, questo risparmio potrebbe essere impiegato per fronteggiare la crisi e sostenere la redditività aziendale e il potere d’acquisto dei lavoratori. Le organizzazioni potrebbero valutare di restituire ai lavoratori una parte del risparmio ottenuto, ma nella nostra rilevazione oggi solo il 13% delle aziende del campione prevede per i lavoratori che lavorano da remoto dei bonus o rimborsi che non siano buoni pasto”.
Lo smart working potrebbe inoltre a livello italiano ridurre le emissioni annue di CO2 di 1.500.000 tonnellate, rivela ancora la ricerca. Il lavoro da casa – dimostra lo studio – riduce le emissioni di circa 450 chili annui per lavoratore, per effetto di tre componenti: la riduzione degli spostamenti, che permette il risparmio di 350 chili di CO2, le emissioni risparmiate nelle sedi delle organizzazioni che hanno introdotto lo smart working (-400 chilo) al netto delle emissioni addizionali dovute al lavoro dalla propria abitazione (in media circa 300 chili).
“Considerando il numero degli smart worker attuali pari a 3.570.000 di lavoratori, l’impatto a livello di sistema Paese calcolato sarebbe pari a 1.500.000 tonnellate annue di CO2. Tale quantità – sottolinea la ricerca – è pari a quella assorbita da una superficie boschiva di estensione pari a circa otto volte quella del comune di Milano”.
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(AdnKronos)
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