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(Adnkronos)

Il vaccino anti-Covid prodotto da Johnson & Johnson, che dovrebbe essere il prossimo ad essere autorizzato in Europa e che è molto atteso perché è monodose, potrebbe avere un problema. La multinazionale Usa avrebbe chiesto e ottenuto, a quanto si apprende a Bruxelles, di realizzare il ‘fill and finish’, la riempitura e rifinitura delle fiale contenenti le dosi, negli Stati Uniti.

E’ un aspetto del contratto, questo, che inizia a preoccupare i dirigenti delle istituzioni Ue più a conoscenza della materia, dato che nell’aprile scorso l’Amministrazione di Donald Trump, alle prese con la pandemia, tentò di trattenere sul territorio americano ventilatori polmonari, mascherine e guanti destinati ad altri Paesi.

Non va dimenticato che gli Usa hanno ancora in vigore un divieto di esportazioni di vaccini, che è una delle ragioni per cui sono avanti nel piano di vaccinazioni, secondi solo a Israele nel mondo per quantità di persone completamente immunizzate: hanno iniettato due dosi di vaccino nel 2,24% della popolazione, 7,75 mln di persone, dopo Israele che è al 22,95%, 1,99 mln (fonte Our World In Data, dati aggiornati a sabato scorso).

La Commissione ha inserito nel contratto con Johnson & Johnson l’obbligo di riportare i vaccini nell’Ue dopo il ‘fill and finish’. Non tutti i capi di Stato e di governo dei Paesi Ue hanno ancora sentito telefonicamente il presidente Usa Joe Biden, ma quando lo sentiranno dovrebbero chiedergli, viene osservato, l’assoluta garanzia che queste dosi, che si trovano sul territorio Usa ma che sono per contratto destinate all’Ue, vengano effettivamente consegnate all’Unione. Se questa garanzia non verrà ottenuta, allora, viene osservato, la Commissione non dovrebbe dare alcuna autorizzazione all’esportazione delle dosi di vaccino negli Usa per il ‘fill and finish’.

E’ un esempio, questo, di come il meccanismo di autorizzazione delle esportazioni di vaccini anti Covid possa essere utilizzato dall’Ue per proteggere i suoi interessi: gli obblighi contrattuali ci sono, ma ci sono anche gli interessi degli Stati. E, in caso di conflitto tra i due, non è difficile prevedere quale prevale. Pertanto, gli Stati membri dell’Ue dovrebbero fare pressione, di concerto con la Commissione Europea, su Washington per ottenere garanzie dagli Usa.

Il problema che si potrebbe porre per Johnson & Johnson, sempre che non si trovi un’intesa preventiva con l’Amministrazione Biden, è l’ennesima conferma del fatto che avere le proprie multinazionali conta.

E’ vero che i colossi del farmaco sono multinazionali, spesso public companies, quindi globali per definizione. Ma dove è situata la sede centrale non è indifferente: in emergenze globali come la pandemia, forse non è indispensabile avere le proprie multinazionali, ma di sicuro aiuta. Tra le case con cui sono stati siglati contratti di acquisto anticipato dall’Ue per i vaccini anti-Covid, Pfizer-BionTech ha avuto un comportamento molto diverso da quello di AstraZeneca: ha informato per tempo la Commissione dei problemi di produzione nello stabilimento di Puurs, dovuti ad un ampliamento della capacità produttiva e ha ripreso le forniture secondo il numero di dosi previsto (dosi e non fiale, cosa che ha posto qualche problema perché è stata autorizzata dall’Ema, in corsa, a conteggiare 6 dosi, e non cinque, per fiala).

Pfizer è un colosso Usa, ma BionTech è una biotech tedesca. AstraZeneca, che è una multinazionale anglosvedese (ma con sede centrale nel Regno Unito), ha invece avvisato all’ultimo momento la Commissione di non essere in grado di consegnare le dosi previste nel primo trimestre 2021, abbassandole da 80 a 31 mln, salvo poi rialzarle a 40 mln.

Il motivo del ritardo sarebbero presunti problemi di produzione nello stabilimento di Hénogen/Novasep di Seneffe, in Belgio (pare si tratti di un’insufficiente replicazione dell’adenovirus necessario a produrre il vaccino, ma non ci sono conferme ufficiali). Il Ceo di AstraZeneca Pascal Soriot, dopo giorni di silenzio, ha persino dichiarato alla stampa di non aver alcun obbligo contrattuale nei confronti dell’Ue, dato che il contratto parla di ‘best effort’, cosa che ha fatto infuriare la Commissione, che ne ha preteso la pubblicazione (piena di omissis, pochi dei quali rivelati grazie ad un errore informatico).

Non solo: Soriot ha anche sottolineato che l’Ue ha tardato molto, rispetto al Regno Unito, a sottoscrivere il contratto di acquisto anticipato (che è stato firmato anche da AstraZeneca). La condotta della multinazionale anglosvedese continua a irritare molti, a Bruxelles, perché, viene osservato, tratterebbe i cittadini europei come cittadini di serie B.

Al di là delle recriminazioni, non vi è chi non veda che, anche se il portafoglio di fornitori di vaccini dell’Ue è ampio e diversificato, la parte del leone la fanno le Big Pharma americane e britanniche: il solo Big europeo tra gli otto vaccini in lizza è la francese Sanofi, in partneship con Gsk (Gran Bretagna). Sfortunatamente, il vaccino di Sanofi/Gsk non arriverà prima del quarto trimestre 2021, tanto che ha fatto un accordo per produrre 125 mln di dosi per BionTech/Pfizer. Poi ci sono Pfizer (Usa), insieme a BionTech (Germania); Moderna (Usa); AstraZeneca (Gran Bretagna); Johnson & Johnson (Usa); CureVac (Germania); Valneva (Francia); NovaVax (Usa).

Se il piano di vaccinazioni Ue incontra degli ostacoli, forse è anche (non solo) per questo. Non va dimenticato che, nel pieno della prima ondata della pandemia, Ursula von der Leyen dovette telefonare al premier indiano Narendra Modi per scongiurarlo di rimuovere il bando alle esportazioni di paracetamolo deciso dall’India. E’ un farmaco di base, essenziale per curare i malati di Covid, ma nell’Ue non lo produceva più nessuno. Ecco perché la Commissione von der Leyen, che si vuole ‘geopolitica’, punta sull”autonomia strategica’. Ma per arrivarci ci vogliono (anche) le grandi imprese. Forti, globali e, possibilmente, europee.

(di Tommaso Gallavotti – AdnKronos)

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