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Sono atterrati giovedì notte tutt’altro che in sordinaI caccia americani B-52H erano appena arrivati alla base statunitense di Al Udeid in Qatar e già circolavano le foto del loro atterraggio, rese pubbliche nientemeno che dal Comando Centrale dell’Air Force. Non si tratta certo dell’ultimo modello tecnologico: i B-52H risalgono agli anni 50, ma il messaggio a Teheran è arrivato lo stesso.  

Giovedì, in giornata, il presidente Donald Trump aveva chiesto ai leader di Teheran di sedersi al tavolo negoziale e abbandonare il programma nucleare iraniano. Non escludeva l’ipotesi di un confronto militare tra i due paesi. Il giorno dopo l’agenzia semi-ufficiale di stampa iraniana Tasnim comunicava garbatamente la risposta: “Nessun dialogo con gli americani non avranno il coraggio di intraprendere un’azione militare contro di noi. Queste le parole lapidarie del vice responsabile degli affari politici delle Guardie rivoluzionarie islamiche, Yadollah Javani.  

Le dichiarazioni sono piovute rapidamente una dopo l’altra, nei giorni in cui la comunità internazionale ricordava che ormai era passato un anno da quando il presidente americano Donald Trump, aveva fatto uscire il suo paese dall’accordo sul nucleare firmato nel 2015 da Barack Obama. 

Il primo atto probabilmente è avvenuto sabato 4 maggio. Il Dipartimento di Stato americano ha introdotto nuove sanzioni e ha chiesto uno stop definitivo di tutte le attività di proliferazione nucleare dell’Iran, compresa quella di arricchimento dell’uranio e dei lavori per l’espansione del reattore nucleare di Bushehr. Secondo l’accordo del 2015ancora in vigore per Europa e Iran, Teheran può tenere nel paese circa 330 chili di uranio arricchito al 3,67 per cento: quanto basta per produrre elettricità. Le quantità eccedenti devono essere trasferite o vendute ad altri paesi in cambio di uranio naturale. Prima della firma del 2015 Teheran nei suoi depositi possedeva oltre 22.000 chilogrammi di uranio altamente arricchito: è con questo materiale che si fabbricano le bombe atomiche 

Arriva domenica e la Casa Bianca fa sapere che la portaerei Abraham Lincoln sta lasciando il Mediterraneo per spostarsi nel Golfo Persico. Il consigliere per la Sicurezza statunitense John Bolton parla di reazione a “preoccupanti indicazioni di escalation e avvertimenti”, ma anche di eventuali attacchi a interessi statunitensi da parti di milizie legate all’Iran. Giovedì, mentre i B-52H decollano per raggiungere le basi in Medio Oriente, la nave da guerra Abraham Lincoln passa il canale di Suez. 

Martedì 8 maggio, anniversario dell’uscita di Washington dall’accordo sul nucleare, è un’altra giornata calda. Il segretario di Stato americano Mike Pompeo cancella una visita in Germania per un viaggio lampo in Iraq. Pompeo nelle dichiarazioni alla stampa allude una possibile escalation. In giornata la televisione americana Cnn cita fonti di intelligence e parla di navi iraniane con a bordo missili a corto raggio in navigazione nel Golfo Persico.  

Mercoledì è il ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif, a volare a Mosca per incontrare la controparte russa Sergei Lavrov. In quelle stesse ore il presidente iraniano Hassan Rouhani minaccia di innalzare i livelli di arricchimento dell’uranio se non verranno raggiunti nuovi termini di accordo entro 60 giorni. Rouhani scrive una lettera formale e la indirizza ai paesi per i quali l’accordo sul nucleare è ancora in vigore: Francia, Regno Unito, Germania, Russia e Cina. Il viceministro iraniano, Abbas Araghchi, aggiunge un pezzo da novanta: l’Iran sta prendendo in considerazione la possibilità di chiedere ai rifugiati afghani di lasciare il Paese nel caso in cui gli Stati Uniti non allentino la pressione economica delle sanzioni su Teheran. Altri rappresentanti del governo iraniano sottolineano che la meta di questi rifugiati sarebbe con ogni probabilità l’Europa. È un vero e proprio ultimatum, che l’Europa rifiuta e al quale gli Stati Uniti rispondono immediatamente. 

Washington introduce nuove sanzioni e colpisce le esportazioni iraniane di acciaio, alluminio e rame. Dopo gas e petrolio, rischia di venire meno la seconda grande fonte di reddito per le casse di Teheran. Ventiquattro ore dopo l’Europa rifiuta ufficialmente l’ultimatum di 60 giorniE la risposta iraniana arriva subito, questa volta di conciliazione: l’Organizzazione per l’energia atomica della Repubblica islamica dichiara all’agenzia di Stato Irna la volontà di rimettere sui binari l’accordo sul nucleare firmato nel 2015.  

Ancora non sappiamo cosa accadrà allo scadere dei 60 giorni indicati da Rouhani. E, in ogni caso, fino ad agosto 2019, quando l’Agenzia Internazionale per l’energia atomica pubblicherà il suo rapporto trimestrale, le attività nucleari iraniane non potranno essere verificate. 

Intanto, nella ridda di notizie e dichiarazioni, qualcuna ha finito per passare inosservata, come spesso accade. Alla fine di aprile, prima che tutto cominciasse, il ministro degli esteri iraniano Javad Zarif aveva fatto una dichiarazione precisa: aveva ricevuto una lettera da Robert C. O’Brien, l’inviato speciale del presidente degli Stati Uniti per le negoziazioni sugli ostaggi. Sì, perché a Teheran sono detenuti diversi americani, tra cui un veterano della marina statunitense. Zarif aveva spiegato di aver ricevuto la lettera dopo aver avanzato una proposta per uno scambio di prigionieri.  

La cosa pare che non abbia avuto seguito. Ma è proprio in quegli stessi giorni che, secondo alcune fonti giornalistiche, come l’informatissimo sito statunitense Axios, una delegazione israeliana di alto livello informa i colleghi americani di un pericolo imminente per le truppe americane in Medio OrienteLa minaccia verrebbe da Teheran 

La vicenda delle trattative per gli ostaggi resta tutt’altro che chiara: non c’è conferma ufficiale, se non da parte iraniana. Se ne è parlato pochissimo. Quanto a tutto il resto, in genere i movimenti di mezzi militari e di caccia non si annunciano con i megafoni e con foto di gruppotutti sanno che la sorpresa può decidere una guerra. Nello scambio di minacce ufficiali di questi giorni ci sono le tracce di più di una trattativa andata in frantumi 

Restano alcune certezze: i 22.000 chili di uranio arricchito precedentemente in possesso di Teheran sono sfuggiti a tutti per anni fino a quando non sono emersi con l’accordo sul nucleare iraniano del 2015. E gli ostaggi americani per ora restano a Teheran. È la vecchia, nota questione che negli anni 80 aveva portato a un brutto epilogo: lo scandalo dell’Irangate nel quale, come si saprà, fu la stessa amministrazione americana a fornire le armi a Teheran in cambio della liberazione degli ostaggi. Questa volta, però, nelle trattative si potrebbe parlare di bombe atomiche 

Monica Mistretta

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