
L’India sfida i dazi di Trump e riapre il dialogo con la Cina
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Dopo l’inasprimento delle tariffe da parte di Washington, Modi annuncia una visita a Pechino: Delhi cambia passo nella partita geopolitica
Nel 2016 Jean-Claude Juncker disse che con Trump si sarebbero persi due anni. Ursula von der Leyen, al contrario, ha accettato di trattare sui dazi nel golf resort scozzese del tycoon. Ma se Bruxelles ha ceduto, Nuova Delhi ha deciso di reagire. Il premier Narendra Modi ha rifiutato di piegarsi alle pressioni di Washington, rilanciando con una mossa che può cambiare gli equilibri globali: una visita ufficiale in Cina, prevista a fine agosto.
Tariffe record contro Nuova Delhi, il pretesto: il petrolio russo
Donald Trump ha alzato i dazi sulle importazioni indiane fino al 50%, accusando l’India di acquistare petrolio da Mosca e di finanziare indirettamente la guerra in Ucraina. Delhi non ha incassato in silenzio: in risposta, il governo ha fatto sapere che Modi sarà presente al vertice SCO (Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai) a Tianjin, il 31 agosto. È la prima visita ufficiale in Cina da oltre sette anni.
Un confine teso ma strategico: il peso della geografia
India e Cina condividono oltre 3.300 km di confine, gran parte lungo l’Himalaya. Tra il 2020 e il 2021 si sono registrati scontri armati nel Ladakh, con decine di vittime. Ma l’interesse reciproco a stabilizzare i rapporti è forte. L’incontro tra Modi e Xi Jinping, avvenuto lo scorso anno a margine di un summit dei Brics, ha già segnato un primo disgelo. Ora si torna a parlare di cooperazione.
Una linea bipartisan contro l’“arroganza” occidentale
In India, la scelta di resistere ai diktat americani trova consensi trasversali. Rahul Gandhi, leader dell’opposizione, ha definito i dazi di Trump “un ricatto economico” e ha accusato Modi di debolezza. Il premier, indebolito dalla recente perdita di 63 seggi alla Lok Sabha, non può permettersi passi falsi: mostrarsi succube di Washington sarebbe politicamente insostenibile.
L’allarme (inascoltato) di Nikki Haley
L’ex ambasciatrice americana all’ONU Nikki Haley, di origine indiana, aveva avvertito: colpire l’India e risparmiare la Cina è una scelta miope. Pechino — ha sottolineato — è il primo acquirente di petrolio russo, eppure ha ottenuto una sospensione tariffaria. Ma Trump non ha ascoltato: pochi giorni dopo aver definito l’economia indiana “morta”, ha imposto dazi record, ignorando ogni appello.
Delhi risponde: “Misure necessarie per difendere il Paese”
“Prendere di mira l’India è ingiustificato e irragionevole”, ha replicato il portavoce del ministero degli Esteri Randhir Jaiswal. “Come ogni grande economia, l’India prenderà tutte le misure necessarie per salvaguardare i suoi interessi nazionali”. Il messaggio a Washington è chiaro: Nuova Delhi non accetta imposizioni e cerca alternative strategiche, anche guardando a est.
Una partita pragmatica, non ideologica
Secondo Harsh V. Pant e Kalpit A. Mankikar, analisti dell’Observer Research Foundation di New Delhi, l’apertura verso Pechino non è un gesto impulsivo, ma una “mossa pragmatica”. Foreign Policy sottolinea che l’India vuole anticipare eventuali convergenze tra gli Stati Uniti, la Cina e il Pakistan. Con il suo riavvicinamento a Pechino, spera di tutelare i propri interessi geopolitici ed economici.
Gli amici cambiano, gli interessi restano
“La politica estera non ha amici perenni, solo interessi permanenti”, ha ricordato l’ex capo dell’intelligence indiana S. D. Pradhan, citando Lord Palmerston. Una massima che sembra guidare la diplomazia indiana in questa fase delicata. L’India non chiude le porte all’Occidente, ma non accetta più il ruolo di partner subordinato.
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(con fonte AdnKronos)
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