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La fecondità degli alberi non cresce di pari passo con la loro crescita di dimensione, ma raggiunge un picco quando gli alberi hanno raggiunto una dimensione intermedia, per poi decrescere: è la conclusione a cui giunge uno studio coordinato dalla Duke University, con la partecipazione dell’Università Statale di Milano e dell’Università di Torino, condotto su 585.670 singoli alberi appartenenti a quasi 600 specie, in tutto il mondo.

La ricerca, a cui hanno partecipato 59 ricercatori provenienti da Cile, Italia, Canada, Polonia, Francia, Spagna, Svizzera, Giappone, Slovenia, Germania, Panama, Porto Rico e Stati Uniti, tra cui Giorgio Vacchiano, docente del Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali – Produzione, Territorio, Agroenergia della Statale e co-autore della ricerca, è stato pubblicato su Pnas (Proceedings of National Academy of Sciences) e fornisce un importante contributo per prevenire cali di fecondità nella produzione di frutti e semi, vitali per molti animali e per la rigenerazione delle foreste.

La ricerca rivela, infatti, che nell’80% delle specie esaminate la fecondità degli alberi, cioè il potenziale biologico di riproduzione, ha raggiunto un picco quando gli alberi hanno raggiunto una dimensione intermedia, dopodiché è diminuita. Il restante 20% delle specie non possiede necessariamente un ‘elisir’ di giovinezza per scongiurare questo deterioramento: anche queste piante, probabilmente, sperimentano un declino della fecondità oltre una certa età e dimensione, ma non esistono ancora abbastanza dati sugli alberi più vecchi e più grandi di queste specie per saperlo con certezza.

“I frutti freschi o secchi degli alberi costituiscono il 3% della dieta umana e sono importanti anche per molti uccelli e piccoli mammiferi, mentre i semi sono vitali per la rigenerazione delle foreste. Per gestire e conservare efficacemente queste risorse, dobbiamo poter prevedere eventuali cali di fecondità e sapere a quale dimensione o età potrebbero verificarsi”, spiega Tong Qiu, ricercatore presso la Nicholas School of the Environment della Duke University, che ha coordinato lo studio.

“Da un lato – aggiunge James S. Clark, docente di Scienze Ambientali presso la Duke University – è poco plausibile che la fecondità negli alberi aumenti indefinitamente con l’età e le dimensioni, dato ciò che sappiamo sui processi di invecchiamento negli esseri umani e in tutti gli altri organismi multicellulari”.

Gli alberi da frutto vengono spesso sostituiti a venti o trent’anni di età, quando la produzione inizia a diminuire, mentre è molto difficile monitorare la produzione di semi negli alberi che crescono in foreste naturali. Questo significa che la maggior parte degli studi sulla fecondità degli alberi fino ad ora si è basata su dati sbilanciati verso gli alberi più giovani e di piccole o medie dimensioni.

In mancanza di dati sufficienti sulla produzione di semi nelle fasi successive dello sviluppo di una specie, finora gli scienziati hanno approssimato questi numeri sulla base di quanto osservavano nelle fasi precedenti con il rischio di sopravvalutare il potenziale effettivo di un albero.

Il nuovo studio pubblicato su Pnas evita questa ‘trappola’, sintetizzando i dati sulla produzione di semi da parte delle circa 600 specie monitorate attraverso la rete di siti di ricerca a lungo termine Masting Inference and Forecasting, progetto elaborato da una collaborazione con decine di partner scientifici in tutto il mondo, tra cui i due atenei di Milano e Torino. Ulteriori osservazioni, ottenibili tramite trappole per semi o conteggi della produzione totale di semi e frutti, possono essere facilmente inserite nel database per aggiungerle alla base di conoscenze disponibile. L’accesso a un archivio così vasto di dati ha consentito a Qiu, Clark e ai loro colleghi di sviluppare un modello per calcolare la fecondità a lungo termine in modo più accurato.

Secondo Giorgio Vacchiano, esperto in gestione e pianificazione forestale della Statale di Milano, “saper prevedere accuratamente quanti semi produrrà un albero in un certo anno è fondamentale per migliorare la nostra capacità di gestire, conservare e ripristinare le foreste del mondo. Questi modelli matematici ci aiuteranno a capire quanto rapidamente una foresta sarà in grado di rigenerarsi dopo un incendio o un danno da vento, e dove sarà più urgente concentrare le risorse per accelerare il processo di riforestazione”.

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