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Dopo la destituzione di Yoon, i sudcoreani scelgono stabilità e riforme: con Lee, il centrosinistra torna al potere con una solida maggioranza parlamentare e una linea autonoma su economia, welfare e relazioni internazionali
La Corea del Sud apre un nuovo capitolo politico con l’elezione di Lee Jae-myung alla presidenza. Dopo la destituzione di Yoon Suk-yeol, cacciato a dicembre per il tentato ricorso alla legge marziale, gli elettori hanno scelto in modo netto un ritorno alla stabilità. Il candidato del Partito Democratico (centrosinistra), già sconfitto di misura due anni fa, ha vinto con un ampio margine contro Kim Moon-soo del Partito del Potere Popolare.
L’affluenza alle urne ha toccato il 77,8%, il dato più alto dal 1997, segnale di una partecipazione civica eccezionale dopo mesi di tensioni istituzionali. Con una solida maggioranza nell’Assemblea Nazionale, Lee potrà contare su un mandato forte per imprimere un cambio di rotta alla quarta economia asiatica.
Avvocato per i diritti umani ed ex sindaco di Seongnam, Lee, 61 anni, ha costruito la sua campagna attorno a una narrazione personale potente: figlio di operai, costretto a lavorare in fabbrica da adolescente, rimasto invalido in seguito a un incidente, è diventato uno dei volti più riconoscibili del progressismo sudcoreano. La sua biografia è diventata parte integrante del messaggio politico, centrato su uguaglianza sociale, giustizia e riforma del welfare.
Lee ha promesso interventi concreti per ridurre le disuguaglianze, frenare la speculazione immobiliare e sostenere i giovani colpiti da disoccupazione e precarietà. Tra le priorità economiche, rilanciare la Corea come potenza globale nell’intelligenza artificiale, puntando a portarla tra le prime tre al mondo nel settore. Sul piano infrastrutturale, propone il trasferimento della capitale amministrativa da Seul a Sejong per decongestionare la metropoli e sviluppare le aree centrali, con Daejeon destinata a diventare un hub scientifico internazionale.
In politica estera, Lee manterrà l’alleanza con gli Stati Uniti ma con un’impronta più autonoma e pragmatica. Ha espresso riserve sull’approccio isolazionista di Donald Trump, temendo ricadute sulle spese militari e sui rapporti commerciali. Ha anche evocato la possibilità di ridurre le importazioni di armamenti statunitensi se Washington dovesse aumentare le pressioni su Seul.
Riguardo alla Corea del Nord, Lee sostiene un riavvicinamento graduale, fatto di piccoli passi verificabili e cooperazione economica. Ha criticato le strategie a “grandi accordi” della passata amministrazione americana e teme che, in caso di negoziati diretti USA-Pyongyang, Seul possa essere esclusa (“Korea passing”).
Non mancano però ombre giudiziarie. Lee è al centro di diverse inchieste per corruzione e abuso d’ufficio legate al suo passato da sindaco. Il 2 maggio, la Corte Suprema ha annullato una precedente assoluzione per violazione della legge elettorale, riaprendo un processo che potrebbe metterne a rischio la futura candidabilità.
La sua elezione rappresenta però molto più di un cambio di guida: segna il rifiuto di una deriva autoritaria, il ritorno dei progressisti e l’avvio di una nuova fase politica che potrebbe ridefinire gli equilibri in Asia orientale — tra la sfida dell’intelligenza artificiale, le relazioni con Washington e il fragile dossier nordcoreano.
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(con fonte AdnKronos)
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