Nuova frontiera per la lotta all’Alzheimer: stimolazione difese potrebbe rallentare malattia
Ricercatori dell’Università Ebraica di Gerusalemme hanno scoperto come stimolare le difese cellulari per combattere patologie come l’Alzheimer, aprendo la strada a nuove terapie preventive
Uno studio rivoluzionario, guidato dall’Università Ebraica di Gerusalemme, apre nuove prospettive nella lotta contro le malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer. I ricercatori hanno individuato un modo per sbloccare la proteostasi, il complesso meccanismo che protegge e regola la salute delle proteine nell’organismo. La scoperta riguarda la soppressione di un particolare complesso nucleolare, il Fib-1-Nol-56, situato nel cuore delle cellule, che ha mostrato di poter ridurre drasticamente gli effetti tossici delle proteine associate all’Alzheimer.
Gli scienziati, nel loro studio pubblicato su Nature Cell Biology, spiegano come l’inibizione di questo complesso nucleolare consenta una maggiore degradazione delle proteine dannose, stimolando le difese cellulari naturali. Questo meccanismo, descritto come una svolta significativa, potrebbe aprire nuove strade per lo sviluppo di terapie in grado di rallentare o persino prevenire l’insorgenza di malattie neurodegenerative.
Con l’invecchiamento, il sistema della omeostasi proteica o proteostasi, che garantisce che le proteine vengano ripiegate correttamente per il funzionamento cellulare, perde efficacia, causando l’accumulo di aggregati proteici tossici, un segno distintivo dell’Alzheimer. Lo studio, coordinato dal professor Ehud Cohen e dallo studente Huadong Zhu del Dipartimento di Biochimica dell’Institute for Medical Research Israel-Canada, in collaborazione con il laboratorio di Yonatan Tzur, si propone di risolvere questo squilibrio, offrendo potenziali applicazioni ben oltre la ricerca teorica.
Il team ha osservato che, sopprimendo l’attività del complesso Fib-1-Nol-56, è stato possibile ridurre notevolmente gli effetti tossici del peptide Aβ, associato all’Alzheimer, e di altre proteine patogene, in modelli sperimentali.
Questa scoperta non solo contribuisce a comprendere meglio come le cellule affrontano lo stress, ma offre anche una speranza concreta per lo sviluppo di trattamenti futuri capaci di contrastare una vasta gamma di malattie devastanti. “I nostri risultati vanno oltre il laboratorio”, ha commentato Cohen, sottolineando l’importanza di questo studio per milioni di persone colpite da malattie neurodegenerative in tutto il mondo. “Scoprendo come le cellule mantengono l’integrità delle proteine, stiamo aprendo la porta a nuove terapie preventive che potrebbero migliorare la qualità della vita di molti anziani e ritardare l’insorgenza di queste patologie.”
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(con fonte AdnKronos)
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