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Decidere di cambiare casa perché un vicino mette in atto comportamenti a tal punto molesti e persecutori da diventare insostenibili. Sembra impossibile, ma purtroppo può accadere. Il rischio però, per chi compie simili atti persecutori, è di essere condannato, sia in sede penale che civile, quando si configura il reato di stalking condominiale. A Roma, in una recente sentenza, una donna è stata condannata a 9 mesi di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali e di una provvisionale di 1.000 euro. Ma non è tutto perché, per quanto riguarda i danni subiti dalla vittima, sarà da determinarsi in separata sede. Il reato di stalking condominiale rientra nell’ambito dall’art. 612-bis del Codice penale (Atti persecutori): “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”, si legge.

“La vicina urlava contro la mia assistita, la insultava, le buttava escrementi davanti alla porta – spiega Paolo Raglione, legale della condomina che ha sporto querela – Questi comportamenti le hanno provocato uno stress tale da essere costretta a cambiare casa”. “Bisogna rendersi conto che questa forma di stalking non è meno grave di quelle che conosciamo – prosegue l’avvocato – Avere un vicino che costantemente ti insulta e ti urla contro in un luogo, la propria abitazione, in cui ci si dovrebbe sentire più sicuri, crea un turbamento d’animo tale che deve essere condannato”. “In questo caso, diciamo per fortuna, la mia assistita era in affitto e ha potuto cambiare casa, ma immaginiamo se l’appartamento fosse stato di sua proprietà”, sottolinea Raglione.

Nella sentenza del giudice della X sezione penale del tribunale di Roma si legge: “Si rileva la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dello stalking, avendo la T. posto in essere una serie di condotte moleste che hanno ingenerato nella persona offesa uno stato di ansia e timore, e costretto a modificare anche le proprie abitudini fino a farla trasferire”. “La persona offesa ha riferito che tali comportamenti le mettevano ansia e la inquietavano, era costretta a tenere chiusa la persiana per evitare che l’imputata la guardasse dentro il suo appartamento e, quando la vedeva rientrando a casa aspettava che entrasse prima lei; inoltre non poteva invitare nessuno perché lei gridava che la casa era abusiva e che se ne doveva andare, sempre appellandola con epiteti ingiuriosi”, si legge ancora.

“L’impotenza di fronte a questi comportamenti è incredibile, perché non ci si può sottrarre se non tornando più a casa – sottolinea ancora l’avvocato Raglione – In questo caso poi non ci sono stati neanche motivi scatenanti, nessuna lite pregressa. Dal giorno in cui la mia assistita si è trasferita lì, la vicina ha iniziato a perseguitarla con questa violenza sia verbale che fisica, durata per più di un anno”.

Ma come ci si può difendere? “Una volta superata la soglia di tollerabilità e diffidato l’autore di questi comportamenti dal cessare la propria condotta, bisogna denunciare e far intervenire le forze dell’ordine – afferma il legale – Ma è fondamentale che la vittima raccolga prove dei fatti attraverso registrazioni, foto e soprattutto far assistere delle persone terze agli eventi se continui”.

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(AdnKronos)

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