Maxiprocesso dei Nebrodi, condanne per seicento anni
Quando i giudici entrano in aula, alle 23.09 dopo tre rinvii in serata, la tensione è palpabile. In prima fila i pm della Dda di Messina, subito dietro gli avvocati dei 101 imputati, e tra i banchi del pubblico le mogli, i parenti degli imputati. In disparte, guardato a vista dai suoi ‘angeli custodi’ c’è lui, Giuseppe Antoci, il padre del ‘Protocollo Antoci’, grazie al quale è stato possibile smantellare il sistema di truffe milionarie nell’agricoltura. Una sentenza storica, nel piccolo tribunale del messinese, arrivata dopo una settimana di Camera di consiglio, tenuta presso un albergo cittadino di Patti (Messina). I giudici del Tribunale di Patti hanno emesso condanne per oltre 600 anni di carcere, sui mille chiesti dalla Procura. Novantuno le condanne e dieci le assoluzioni. E confische per milioni di euro. La lettura del dispositivo è durata quasi un’ora. Il Giudice ha terminato la lettura poco prima di mezzanotte.
Una camera di consiglio fiume durata oltre 170 ore in cui il presidente Ugo Scavuzzo ed i giudici a latere, Andrea La Spada ed Eleonora Vona, sono entrati lo scorso 24 ottobre. Una settimana piena per decidere se accogliere le richieste, pesantissime dei pm di Messina. Ad assistere alla sentenza in aula il Procuratore aggiunto di Messina Vito Di Giorgio e i pm Fabrizio Monaco, Francesco Massara e Antonio Carchietti.
L’epilogo di un processo storico, il più imponente nel messinese dai tempi di Mare Nostrum con 101 imputati e richiesta di condanne per circa 970 anni di carcere e 30 milioni di euro di confische. Un dibattimento durato appena diciotto mesi, poco più di un anno e mezzo, tempi record per un processo con oltre cento detenuti. Alla sbarra la cosiddetta “Mafia dei pascoli” e quel sistema attraverso cui la criminalità drenava milioni di euro di contributi europei destinati ai terreni agricoli garantendosi linfa finanziaria. Un meccanismo i cui ingranaggi furono fermati proprio dal protocollo di legalità Antoci. Una inchiesta nata grazie all’ex Procuratore capo di Messina Maurizio de Lucia, da pochi giorni alla guida della Procura di Palermo, che ha scoperchiato un sistema mafioso milionario fatto di connivenze e silenzi. I reati vanno dall’associazione mafiosa, estorsione, concorso esterno in associazione mafiosa, truffa, falso. Un impianto accusatorio che ha retto, stando alle 91 condanne e alle confische milionarie. Tra 90 giorni si conosceranno le motivazioni.
Il maxiprocesso dei Nebrodi scaturisce dall’operazione del 15 gennaio 2020 denominata “Nebrodi” con 94 arresti e il sequestro di 151 aziende agricole per mafia, una delle più vaste operazioni antimafia eseguite in Sicilia e la più imponente, sul versante dei Fondi Europei dell’Agricoltura in mano alle mafie, mai eseguita in Italia e all’Estero. Un meccanismo interrotto dal “Protocollo Antoci” poi recepito nei tre cardini del Nuovo Codice Antimafia e votato in Parlamento il 27 settembre 2015. Per tutto ciò l’ex Presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, oggi Presidente Onorario della Fondazione Caponnetto, ha rischiato la vita in quel tragico attentato mafioso del 2016 dal quale si è salvato grazie all’auto blindata e al violento conflitto a fuoco ingaggiato dai poliziotti della sua scorta, tutti promossi per merito straordinario e medaglia al valore. E oggi vive sotto scorta.
“E’ un momento importante perché questo paese ha bisogno di risposte, da questa esperienza esce la risposta di un territorio che ha fatto il suo dovere. Abbiamo fatto quello che andava fatto, abbiamo superato il silenzio e abbiamo fatto capire che i fondi europei dovevano andare solo alle persone per bene e non ai capimafia”, dice tra le lacrime, subito dopo la lettura della sentenza del Maxiprocesso dei Nebrodi. “Quest’aula stasera ha dato un segno di libertà – dice ancora- ma anche di dignità. Queste condanne che mi addolorano, perché in fondo non è proprio una vittoria quando le persone vanno in carcere. La lotta alla mafia non si può fare solo con la repressione ma va fatta ogni giorno. Questa esperienza dimostra che da un piccolo territorio nasce un protocollo di legalità che la Commissione europea considera tra i più importanti. Rompiamo questo muro di silenzio”.”Le truffe sono state riconosciute per buona parte. Resta il fatto che su quella parte di territorio della provincia di Messina le truffe hanno costituito la principale fonte di arricchimento sia del gruppo mafioso dei Batanesi sia del gruppo dei Bontempo Scavo, ma teniamo cosnto che è solo la sentenza di primo grado”.
Mentre il Procuratore aggiunto Vito Di Giorgio spiega: “E’ stata riconosciuta la mafiosità per i Batanesi mentre per il gruppo dei Bontempo Scavo no”. Per il pm Di Giorgio “buona parte delle truffe contestate hanno retto, è stata riconosciuta l’esistenza del 640 bis, in alcuni casi aggravata. Sicuramente questo è un aspetto importante”. Ma “è un dispositivo talmente complesso che va letto attentamente”. Un dispositivo lungo 17 pagine.
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(Elvira Terranova – AdnKronos)
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