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E’ giunto a sentenza, dopo un anno e 4 mesi il processo per il duplice efferato delitto avvenuto il 21 settembre del 2020 in un appartamento di via Montello, a Lecce. A essere trucidati in maniera spietata, con decine e decine di coltellate, furono due fidanzati: Daniele De Santis, 33 anni, amministratore di condominio e arbitro di calcio in serie C, ed Eleonora Manta, 30 anni, impiegata dell’Inps, che da pochissimo avevano iniziato a vivere insieme. L’unico imputato, Antonio Giovanni De Marco, 21 anni, di Casarano, studente universitario di Infermieristica, reo confesso fin dal momento del suo arresto avvenuto pochi giorni dopo, non è mai stato presente in aula dove invece sono intervenuti, anche in veste di testimoni, alcuni parenti delle vittime. La sentenza, dopo le eventuali controrepliche delle parti, è prevista oggi nell’aula bunker del carcere del capoluogo salentino. A meno di sorprese dell’ultimo momento l’imputato darà forfait anche questa volta.

Il processo, in cui si sono costituti parte civile i genitori di Daniele ed Eleonora, non ha conosciuto particolari colpi di scena. Oltre al peso decisivo della confessione, il quadro probatorio è abbastanza chiaro. Il dibattimento si è incentrato in molte udienze sulla capacità di intendere e volere del presunto assassino al momento del delitto e sulle perizie psichiatriche. Gli esperti consulenti psichiatrici nominati dalla Corte di Assise di Lecce hanno sostanzialmente giudicato De Marco capace di intendere e di volere al momento del delitto e quindi capace anche di ‘stare in giudizio’, pur riconoscendo che ha una personalità di tipo narcisistico. Quindi non una patologia psicotica ma un disturbo della personalità, un narcisismo maligno tipo ‘covert’.

I periti di parte nominati dai legali di De Marco, gli avvocati Andrea Starace e Giovanni Bellisario, hanno avuto un orientamento più marcatamente psichiatrico. Si tratterebbe di un disturbo psicotico delirante, con l’aggiunta di uno spettro autistico.  Oltre che non condividerne i contenuti, la difesa e i relativi consulenti hanno criticato i metodi utilizzati dai periti nominati dalla corte che si sarebbero limitati a consultare i documenti, non tenendo colloqui con l’imputato e non acquisendo le registrazioni dei precedenti colloqui effettuati dai consulenti di parte. Insomma una perizia che sarebbe incompleta e sommaria, basata sulla somministrazione di test. Nonostante questi ultimi abbiano evidenziato degli aspetti critici e delle anomalie che avrebbero meritato ulteriori approfondimenti, i periti della corte si sarebbero fermati a una ipotesi diagnostica che non avrebbe un effettivo riscontro.

L’imputato, come suo diritto, ha rinunciato a farsi esaminare al processo anche se fino all’ultimo momento ha il diritto di rendere dichiarazioni spontanee, perfino poco prima della fine del dibattimento. E, invece, sarebbe stata interessante una sua deposizione per tentare di capire come è maturato il duplice, atroce delitto. Finora, da interrogatori, appunti, lettere, diari, è emerso, in maniera mai abbastanza chiara e soprattutto nella prima fase delle indagini, che a scatenare la furia omicida sarebbe stata la gelosia o l’invidia per il rapporto d’amore e per la felicità dei due fidanzati. Un rancore alimentato dai suoi presunti insuccessi in campo sentimentale. Per la difesa e i relativi consulenti psichiatrici “De Marco avrebbe ucciso chiunque gli fosse capitato” a tiro. Avendo vissuto come coinquilino, in particolare De Santis, per alcuni mesi in quell’appartamento di via Montello fino all’agosto precedente, aveva duplicato le chiavi e quindi ritenne più comodo e agevole per lui prendere di mira i due giovani.

Gli avvocati difensori hanno contestato gli esiti della perizia psichiatrica disposta dalla Corte d’Assise sia dal punto di vista metodologico sia dal punto di vista dei contenuti. De Marco, secondo i consulenti della difesa, ha un vizio di mente, per questo avrebbe colpito quasi casualmente Daniele De Santis e Eleonora Manta. I difensori hanno sostenuto in aula che ha ucciso a causa “di un grave disturbo della personalità”. L’idea delirante sarebbe basata “sulla prospettiva che, uccidendo qualcuno, avrebbe avuto una vita migliore”. Nessuna gelosia nei confronti del successo o della felicità della coppia.  Antonio De Marco dunque “non è imputabile” per l’incapacità “di intendere e di volere al momento del fatto”.

Per l’accusa l’aspirante infermiere avrebbe agito con “premeditazione e crudeltà”.  Lo scorso 5 aprile l’accusa, sostenuta in aula dal pubblico ministero Maria Consolata Moschettini, ha chiesto per l’imputato l’ergastolo con isolamento diurno per un anno. L’accusa nei suoi confronti è di omicidio volontario premeditato, aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi. Domani, dopo le eventuali repliche e controrepliche delle parti nell’aula bunker del carcere, la sentenza della Corte di Assise-seconda sezione penale, presieduta da Pietro Baffa.

(AdnKronos)

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