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Navi fantasma, equipaggi sotto sequestro, bandiere di comodo, rotte proibite: la guerra contro le petroliere che trasportano il greggio dell’Iran è solo agli inizi, ma ha già una storia. Un filo che si snoda tra complessi giri finanziari, banche e personaggi a cavallo di molti dei conflitti in corso, dall’Ucraina alla Siria.

Mettere in relazione gli episodi per ricostruire la tela di questo scontro che può decidere le sorti del Medio Oriente più di qualsiasi guerra, non è semplice perché le notizie arrivano in ritardo e con parecchie lacune. L’ultimo atto risale a ieri: una nave ucraina, carica di petrolio iraniano, stava per varcare il Canale di Suez ed entrare nel Mediterraneo, quando le autorità egiziane sono intervenute per metterla sotto sequestro con tutto l’equipaggio. Meno di una settimana fa la Marina Reale britannica sequestrava nello Stretto di Gibilterra la gigantesca petroliera Grace 1, i suoi due milioni di barili di gasolio e tutti i membri dell’equipaggio. Tra i quali c’erano anche tre ucraini. La nave, di cui l’Iran adesso rivendica il possesso, aveva fatto il giro intorno all’Africa e si preparava a varcare le porte del Mediterraneo. Secondo le autorità britanniche era diretta in Siria, paese dal 2011 sotto sanzioni europee.

A novembre, mentre entravano in vigore le sanzioni americane sul petrolio iraniano, un’altra nave battente bandiera panamense aveva trovato una sorte simile a quella ucraina al largo di Suez. La Sea Shark, con a bordo un milione di barili di gasolio iraniano, non era riuscita a passare il canale: era rimasta per quasi cinque mesi ancorata davanti alla costa egiziana. Poi aveva tentato nuovamente la via del Mediterraneo, senza successo. Dal 27 aprile resta ferma davanti al Canale di Suez con il suo gasolio a bordo: le autorità egiziane chiedono, per “motivi ambientali”, che la nave prosegua solo dopo aver scaricato il prezioso carico. Il capitano, l’ucraino Vitality Nesterenko, non ha intenzione di accettare. L’equipaggio al completo si trova ancora a bordo, sotto sequestro: 17 uomini, tutti ucraini. Una nazionalità ricorrente su queste navi.

Dai dati reperibili sui principali siti di tracciatura del traffico marino, come “Vessel Finder”, non è difficile ricostruire come stanno andando le cose: il petrolio iraniano diretto in Turchia riesce ancora ad entrare nel Mediterraneo. Anche quello che dai porti iraniani si dirige in Cina percorre senza grossi ostacoli le rotte dell’Oceano indiano. Le navi spengono per qualche tempo i dispositivi Gps per non lasciare tracce in prossimità delle coste iraniane, poi li riattivano e proseguono il loro viaggio.

Il problema riguarda il petrolio diretto in Siria: è qui che il 22 giugno sono stati danneggiati alcuni oleodotti marini collegati alla raffineria di Baniyas, 40 chilometri a nord del porto siriano di Tartus, controllato dai russi. Il giorno dopo l’attacco al largo delle coste di Baniyas era arrivata una petroliera proveniente dall’Iran che non aveva potuto scaricare immediatamente il suo carico. Le autorità siriane avevano parlato di attentato organizzato da un paese nemico.

All’Ucraina e alla Siria portano non solo la Sea Shark e la Grace 1, oltre che la nave fermata ieri al largo di Suez, ma anche altre due petroliere. Quelle che hanno preso fuoco alla metà di gennaio nello stretto di Kerch, in Crimea, nel corso di un trasbordo di gas di petrolio liquefatto da nave a nave. Il tutto con i dispositivi di localizzazione rigorosamente spenti. All’epoca si parlò di forniture russe e iraniane alla Siria: entrambe le navi, la Candy e la Maestro, erano da tempo sotto osservazione del Dipartimento del tesoro statunitense. Come anche un personaggio legato a molti di questi trasporti: Mohammad Amer Alchwiki, un siriano in affari con una sussidiaria del ministero per l’Energia russo, la Promsyrioimport, e con molti, troppi, legami con le Guardie rivoluzionarie islamiche iraniane.

Uffici a Londra, Mosca e Damasco, Alchwiki con la sua società, la “Global Vision Group”, era finito a novembre sotto le sanzioni statunitensi per aver spedito milioni di barili di petrolio iraniano e russo in Siria, contribuendo a finanziare le principali milizie filoiraniane, da Hezbollah in Libano ad Hamas a Gaza. In un complesso schema internazionale di banche e trasferimenti incrociati, il denaro del petrolio di Teheran partiva dalla Banca Centrale dell’Iran e finiva in una fondazione iraniana apparentemente umanitaria, la “Tabir Kish Medical & Farmaceutical Co”. Di qui passava nei conti russi di Alchwiki e alla Promsyrioimport. È con questi soldi che il petrolio iraniano veniva venduto alla Siria. I pagamenti della Banca Centrale di Damasco finivano dritti nelle mani di Hezbollah ed Hamas.

Non ci sono prove che le navi sequestrate in questi giorni siano legate alla rete di Alchwiki. Come non ce ne sono per la Sea Shark, ferma da mesi nel Canale di Suez, o per le due navi che hanno preso fuoco a gennaio al largo della Crimea. Nessuno ne parla. Ma la presenza di membri dell’equipaggio ucraini, il petrolio iraniano e la rotta siriana, una costante per tutte le navi, portano dritti a lui e alla rete russo-iraniana che tiene in piedi non solo Damasco, ma anche le milizie di Hezbollah ed Hamas. La rete finanziaria iraniana in Medio Oriente è sotto scacco.

Monica Mistretta

 

 

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