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Realizzata la mappa più accurata di Io, l’infernale luna di Giove carica di vulcani. Grazie ai dati raccolti dallo stumento Jiram a bordo della missione Nasa Juno, un team di ricerca guidato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica italiano ha identificato 242 ‘hot spot’, ovvero zone calde che indicano la presenza di vulcani, di cui 23 non osservati precedentemente sul satellite più interno di Giove. L’Inaf e l’Agenzia Spaziale Italiana sottolineano che i dati indicano una maggiore concentrazione di punti vulcanici caldi nelle regioni polari rispetto alle latitudini intermedie. Si tratta secondo gli scienziati della “mappatura migliore mai ottenuta da remoto”.

L’infernale luna Io – la più interna fra quelle regolari del sistema gioviano – è il corpo vulcanicamente più attivo dell’intero Sistema solare ed un recente articolo pubblicato sulla rivista Geophysical Research Letters (Grl) fa così nuova luce sulle proprietà vulcaniche di questo satellite naturale. In particolare Asi e Inaf riferiscono che le nuove informazioni arrivano grazie ai nuovi dati raccolti da Jiram-Jovian InfraRed Auroral Mapper, uno degli otto strumenti a bordo della sonda Nasa Juno. La scoperta parla molto italiano visto che lo strumento è stato finanziato dall’Asi, realizzato da Leonardo e con la responsabilità scientifica dell’Inaf.

Asi e Inaf spiegano che l’articolo delinea “la mappa più recente della distribuzione degli hot spot – punti vulcanici caldi – di Io prodotta con dati Jiram da remoto alla migliore scala spaziale attualmente disponibile. I ricercatori, guidati dall’Inaf, sono riusciti a ottenere, inoltre, una migliore copertura delle regioni di Io prossime ai poli rispetto al passato. Francesca Zambon, membro del gruppo Jiram, ricercatrice dell’Inaf di Roma e prima autrice dell’articolo pubblicato su Grl, spiega che “la mappa degli hot spot presentata nel nostro lavoro è la più aggiornata tra quelle basate su dati di telerilevamento spaziale”. La ricercatrice Inaf argomenta che “analizzando le immagini infrarosse acquisite da Jiram, abbiamo individuato 242 punti vulcanici caldi, di cui 23 non presenti in altri cataloghi e localizzati nella maggior parte dei casi nelle regioni polari, grazie alla peculiare orbita della sonda Juno”.

La ricercatrice Zambon aggiunge che “il confronto tra il nostro studio e il catalogo più recente rivela che Jiram ha osservato l’82% degli hot spot più potenti precedentemente individuati, e la metà degli hot spot di potenza intermedia, dimostrando quindi che questi sono ancora attivi”. Tuttavia, osserva Zambon, “Jiram ha rilevato solo circa la metà degli hot spot più deboli precedentemente segnalati” e per la scienziata dell’Inaf “le spiegazioni sono due: o la risoluzione di Jiram non è sufficiente per rilevare questi deboli punti caldi, oppure l’attività di questi centri effusivi potrebbe essersi sbiadita o interrotta”.

Quando la sonda spaziale Nasa Voyager 1 avvicinò Io, il più interno dei satelliti galileiani di Giove, nel marzo 1979, le immagini inviate alla Terra rivelarono che la sua superficie appariva punteggiata da una moltitudine di centri vulcanici caldi, con imponenti colate laviche e pennacchi alti fino a qualche centinaio chilometri. In seguito, l’esplorazione condotta soprattutto dalla missione Nasa Galileo chiarì che questi punti caldi sono moltissimi: alcune centinaia, molti dei quali con attività pressoché costante.

La luna Io mostra molti centri vulcanici, innescati principalmente dalle potenti forze mareali esercitate da Giove. Lo studio dell’attività vulcanica di questo satellite gioviano è secondo gli scienziati “la chiave per comprendere la natura dei suoi processi geologici e la sua evoluzione interna. La distribuzione degli hot spot e la loro variabilità spaziale e temporale sono importanti per definire le caratteristiche del riscaldamento delle maree e i meccanismi attraverso i quali il calore fuoriesce dall’interno”.

Alessandro Mura, leader del gruppo Jiram e ricercatore dell’Inaf di Roma, spiega che “uno dei maggiori punti aperti nella comprensione della struttura interna di Io è se l’attività vulcanica osservabile in superficie sia dovuta a un oceano di magma globale presente nel mantello, oppure a camere magmatiche che si insinuano nella crosta a minori profondità. Le osservazioni di Jiram sono tuttora in corso, e le future immagini a maggiore definizione saranno fondamentali per meglio evidenziare i punti caldi deboli e per chiarire la struttura interna di Io”.

A chiarire altri aspetti dello studio è Giuseppe Sindoni, responsabile del progetto Jiram per l’Asi, che evidenzia che “la superficie della luna gioviana Io è molto dinamica, con vulcani ed emissioni laviche in continua evoluzione, come dimostrato da questo importante risultato ottenuto dal nostro strumento Jiram e dall’ottimo lavoro svolto dal team”. “L’estensione della missione Juno fino al 2025 ci permetterà di monitorare questa evoluzione e di comprendere meglio i processi fisici che guidano un corpo così complesso e dalle fattezze simili alla nostra Terra primordiale, anche in previsione di future missioni dedicate” osserva inoltre Sindoni.

La sonda Juno è stata lanciata ad agosto 2011 dalla base di Cape Canaveral ed è in orbita attorno a Giove dal luglio del 2016. Da allora ha percorso 235 milioni di chilometri. Juno è tuttora la sonda in orbita planetaria più distante della Nasa, e continuerà le sue indagini sul pianeta più grande del Sistema solare fino a settembre 2025. Alla fine dell’anno, il 30 dicembre 2023, durante la 57ma orbita attorno a Giove, la sonda Juno effettuerà il suo passaggio più ravvicinato in assoluto a Io, a una distanza minima di circa 4800 chilometri. Le missioni Europa Clipper della Nasa e Juice di Esa, che opereranno nel sistema di Giove negli anni 2030, non potranno mai avvicinarsi a simili distanze. Sarà quindi cruciale che Juno possa condurre osservazioni anche con Jiram durante tutte le prossime opportunità previste nel 2023.

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