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Il ruolo delle armi nucleari in Russia è cambiato dopo il 2014, ma non vi è certezza, esaminando testi e parole ufficiali, dell’effettiva possibilità del loro impiego per porre fine a un conflitto convenzionale, il cosiddetto principio del ‘escalate to de escalate’ introdotto negli Stati Uniti negli anni della presidenza Trump sulla base degli sviluppi in atto a Mosca. Gli analisti americani sono divisi, come segnala lo studio Russia’s Nuclear Weapons: Doctrine, Forces, and Modernization” aggiornato lo scorso aprile dal Congressional Research e il dibattito è aperto e in evoluzione.

Un ampio arsenale di armi nucleari non strategiche e di sistemi di lancio duali (in grado di lanciare testate convenzionali e nucleari, come gli Iskander e i Kinzhal) insieme a dichiarazioni da parte di Vladimir Putin, a partire dalle sue parole nel discorso di fronte all’Assemblea federale del marzo del 2018, per ricordare al mondo la potenza della deterrenza nucleare russa, hanno effettivamente portato alcuni in Occidente a credere che Mosca dia un maggior peso al ruolo delle armi nucleari nella sua strategia militare e pianificazione militare.

Prima dell’annessione della Crimea, gli analisti americani ritenevano che le armi nucleari non strategiche “non avessero una missione definita e posto nella struttura di deterrenza”. Gli eventi del 2014, le parole di Putin e di altri esponenti della leadership insieme alle esercitazioni militari in cui si simulava l’impiego di armi nucleari contro Paesi Nato, hanno portato alcuni a credere che la Russia possa minacciare l’uso di armi a corto raggio, non strategiche, per intimidire o costringere i Paesi vicini, prima o durante un conflitto se la Russia ritiene che una minaccia all’uso di queste armi possa portare gli avversari a fare marcia indietro.

E’ proprio da quella idea che nasce, negli Stati Uniti il concetto dell”escalate to de-escalate’, vale a dire la possibilità che nel caso di sconfitta in un conflitto militare con la Nato, Mosca possa minacciare l’uso di armi nucleari in uno sforzo di costringere i Paesi alleati ad abbandonare il campo di battaglia, una frase che però non ha traccia in alcun documento o dibattuto russo.

Nel giugno del 2020, per esempio la Russia ha pubblicato “I principi di base della politica della Federazione russa sulla deterrenza nucleare” in cui si precisa che Mosca “considera le armi nucleari esclusivamente come uno strumento di deterrenza”. Un documento – si precisa nello studio del Centro studi del Congresso americano – che non risolve completamente la questione della possibilità di escalare all’uso di una arma nucleare per porre fine a un conflitto convenzionale.

La politica della deterrenza “è difensiva per natura e ha come obiettivo quello di mantenere il potenziale delle forze nucleari a un livello sufficiente per la deterrenza e per garantire la protezione della sovranità nazionale e l’integrità dello Stato e per la deterrenza di un potenziale avversario per una aggressione contro la Russia e i suoi alleati”. Le minacce e le circostanze per cui si può considerare l’impiego di armi nucleari sono “dati affidabili sul lancio di un attacco con missili balistici contro la Federazione russa e dei suoi alleati” e in risposta “all’uso di armi nucleari o di distruzione di massa” o a “un attacco da parte di un avversario contro siti del governo o militari critici, la cui distruzione può diminuire la capacità di risposta nucleare e aggressioni contro la Federazione russa con l’uso di armi convenzionali, nel caso in cui la stessa esistenza dello stato è a rischio”.

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