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Una mamma porta a Tel Aviv la figlia, all’insaputa del padre, ma per i giudici della prima Corte di Cassazione la questione va affrontata non come sottrazione internazionale di minore, ma semplice controversia sull’affidamento. Lo ha stabilito con una sentenza la Suprema Corte, che ha accolto il ricorso della madre, cittadina israeliana e francese, e ha chiesto alla corte d’Appello di Roma con un collegio diverso di pronunciarsi. Una storia che ricorda la contesa in atto sul piccolo Eitan, l’unico sopravvissuto alla tragedia del Mottarone.

La prima disputa davanti al tribunale di Roma – è il papà italiano a rivolgersi alla giustizia – dura circa un anno e porta nel marzo 2017 al “il divieto di espatrio della minore” e all’affidamento della piccola, nata nel 2013 a Gerusalemme, a entrambi i genitori. Al termine di quel processo i giudici ordinano il rientro in Italia e stabilisce tempi e modalità degli incontri padre-figlia. La sentenza viene sostanzialmente confermata dalla corte d’Appello capitolina che nel luglio 2019 riconosce la “residenza abituale della minore in Italia, precisamente a Roma” prima che la donna si trasferisse in Israele “sottraendosi al giudice italiano e portando via la figlia al padre”.

La corte non mette in discussione la genitorialità dell’uomo, gli si riconosce un “pieno coinvolgimento nella vita della figlia” in termini affettivi ed economici, ritiene invece “censurabile il comportamento della madre che, a fronte di un progetto di vita per sé e la figlia, anziché ricorrere all’autorità giudiziaria per ottenere l’autorizzazione a trasferirsi con la minore in altro paese spiegando le ragioni legate all’interesse della minore, decideva di allontanarsi insieme alla bambina, trasferendosi in Israele e così sottraendo la minore al suo contesto di vita e al padre”, nonostante un ordine di non allontanamento.

Una madre che, si legge nella sentenza d’appello, “si è ‘fatta giustizia da sola’ non ottemperando al provvedimento che disponeva il divieto di espatrio” e che è “convinta che per cancellare ad una figlia il padre sia sufficiente trasferirla nottetempo in un altro Stato costruendole una diversa identità familiare”. Nella recente sentenza della Cassazione si pone come prima questione da valutare la cittadinanza della bambina, nata fuori dal matrimonio e non riconosciuta dal padre in Italia, ma riconosciuta in Francia dopo un anno circa dalla nascita.

Una volta superato questo scoglio, per la Suprema Corte i giudici di secondo grado avrebbero dovuto decidere nell’interesse della minore, mentre “le considerazioni espresse nel decreto non riescono ad occultare la sussistenza di un giudizio morale”, nei confronti della donna che si è rifatta una vita e ha avuto altre due figlie dall’attuale marito. Si contestano le “divagazioni di stampo talora moraleggiante” da parte dei giudici che non hanno stabilito se il trasferimento sia stato un “escamotage” per sottrarsi al divieto di espatrio o “un vero progetto di vita tale da coinvolgere armonicamente la minore”.

Citando tre diverse sentenze della Cassazione, i giudici di Piazza Cavour rilevano che si tratta di un caso non di sottrazione internazionale di minore – come fa il tribunale e l’appello -, ma di “controversia concernente l’individuazione del miglior collocatario, individuazione da effettuarsi nell’interesse esclusivo, della minore, anche a costo che ciò ‘incida negativamente sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario'”. Dunque la decisione è di rimettere la questione a un nuovo collegio della corte d’Appello di Roma. Intanto la piccola, che avrebbe dimenticato l’italiano, può continuare la sua vita a Tel Aviv lontano dal padre.

Legale della madre: “Sentenza Cassazione corretta

“La decisione della Cassazione è corretta, la sentenza tanto del tribunale quanto della corte d’Appello erano dettate più dall’intento punitivo nei confronti della madre, ritenuta colpevole di aver agito non chiedendo il permesso al padre, che dal vero scopo per cui si fanno questi giudizi, cioè l’interesse preminente del minore”. Lo afferma all’Adnkronos l’avvocato Renzo Maria Pietrolucci, difensore della donna – cittadina israeliana e francese – chiamata in causa e accusata dal compagno di aver sottratto la loro figlia.

“La piccola ha vissuto tre anni a Roma, in Israele ha altri parenti, è cresciuta li e pretendere di riportarla in Italia senza tener conto delle sue condizioni è senza senso. Il tribunale e la corte d’Appello non si sono preoccupati affatto di quale era il vero interesse. Senza considerare che c’è anche una questione sulla genitorialità, lui – italiano – l’ha riconosciuta in Francia ma dopo un po’ dalla nascita e quindi senza acquisire i diritti genitoriale, quella che una volta era la patria potestà. A me la sentenza sembra confacente le norme e l’orientamento attuale nazionale e internazionale. Anche il caso Eitan, con il piccolo ancora a Tel Aviv, dimostra che stanno vedendo di capire cosa è veramente meglio per il bambino”, aggiunge il legale.

“Nel caso che ho assistito non si parlava di sottrazione di minore, ma solo dell’esercizio della madre di un suo esercizio genitoriale unico, non contestato, che non può essere punito”. La madre ha portato la piccola in Israele “prima” della decisione del tribunale di emettere un divieto di espatrio quindi non ha violato nessun provvedimento, specifica il legale. “Per contendere l’affidamento prima bisogna essere padri e lui ha solo un riconoscimento francese che non gli dà la potestà genitoriale. Anche la parte pubblica hanno sempre detto quello che dicevo io: riportare la piccola in Italia sarebbe una follia”, conclude l’avvocato Pietrolucci.

Esperto Vaccaro: “Sentenza stonata, a rischio divieti espatrio”

“E’ una sentenza strana, una nota stonata”. Così Giorgio Vaccaro, avvocato esperto in Diritto di famiglia e psicologia giuridica, commenta all’Adnkronos la sentenza della Cassazione. “La tutela dei minori si ottiene facendo sì che il giudice di prossimità (città dove il minore risiede, ndr) non venga estromesso, invece qui c’è un passaggio curioso. Il tribunale di Roma all’inizio dispone un divieto di allontanamento, poi in sentenza dispone il rientro per cui è evidente che c’è stata una fuga”. Sentenza confermata dalla corte d’Appello di Roma, ma che la Cassazione ‘bacchetta’.

“Dire quello che ha detto la Cassazione vuol dire permettere una lettura ammorbidita di una situazione che contro il minore è devastante, perché sottrarre il minore dalle proprie abitudini è qualcosa che per giurisprudenza costante è sempre stata mantenuta come cancello che non si può aprire. Con questa decisione si è aperto quel cancello. Ora si è creato il buco nella diga che rischia di diventare il Vajont”, aggiunge l’esperto. “Il rispetto dell’ordine del giudice non è un elemento di poco conto nella gestione della genitorialità, perché indica la capacità del genitore di contenere il figlio nell’ambito delle regole, altrimenti la prepotenza si fa strada, diventa una guerra tra pirati”. La giustizia ‘fai da te’ – che consente di non rispettare l’ordine del giudice – diventa un innesco esplosivo guardando alle contese tra coppie miste o al caso Eitan, il piccolo sopravvissuto alla tragedia del Mottarone, conteso tra Israele e Italia.

“Il giudice di prossimità ha la possibilità attraverso gli assistenti sociali, gli insegnanti, i vicini di casa di avere una fotografia reale della situazione e quindi di esprimersi su fatti. Quando tolgo un minore impedisco al giudice di andare a fondo, perché gli mancheranno tutti i sostegni per fondare il suo giudizio”. Il non allontanamento “serve al minore, non è fatto per vessare la madre o il padre, ma perché se tengo il figlio nel posto dove ho più elementi per farmi un’idea posso emettere un provvedimento nell’interesse del minore. In caso contrario c’è il rischio che si decida come tirando una monetina”, conclude l’avvocato Giorgio Vaccaro.

(AdnKronos)

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