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Chilometri di reti fantasma che giacciono abbandonati sui fondali siciliani a soffocare un ecosistema fragile e la biodiversità che andrebbe protetta. Enormi quantità di reti tubolari utilizzate per l’allevamento delle cozze, abbandonate anche queste insieme ad altre attrezzature da pesca, determinando un ennesimo, insostenibile inquinamento da plastica nei nostri mari, in questo caso nel nord del Gargano, a Lesina e Varano. Le denunce di Marevivo e di Greenpeace arrivano nello stesso giorno e hanno come oggetto lo stesso fenomeno preoccupante, quello dell’abbandono delle attrezzature da pesca in mare.


Durante la spedizione ‘Difendiamo il Mare’, che proprio in questi giorni attraversa la Puglia settentrionale, Greenpeace scopre un’enorme quantità di reti utilizzate per l’allevamento delle cozze e boe che invadono il mare e la costa attorno ai laghi di Lesina e Varano, nel nord del Gargano. Una situazione aggravata dai numerosi siti di stoccaggio illegali presenti nell’entroterra e punti di smaltimento illecito nei pressi dei centri di raccolta dei rifiuti urbani. “Ci siamo imbattuti in uno scenario scioccante con enormi quantità di rifiuti riconducibili all’allevamento delle cozze e della pesca – racconta Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia – un paradosso da parte di un settore che vive grazie al mare e che allo stesso tempo contribuisce a inquinarlo con la plastica. Eppure, tra tutte le attività di pesca, la mitilicoltura potrebbe essere tra le meno impattanti, se fatta in modo corretto”.

Poi, c’è la divisione subacquea di Marevivo che con il supporto del Nucleo Subacqueo dei Carabinieri e della Guardia Costiera-Corpo delle Capitanerie di Porto, ha rimosso dai fondali di Isola delle Femmine e di San Vito Lo Capo, due reti fantasma, tra cui una rete spadara derivante lunga oltre 2.500 metri, per un totale complessivo di 3mila metri. L’operazione, condotta nell’ambito di Linea Gialla, il progetto di tutela ambientale di Dhl Express Italy e Federazione Italiana Pallavolo in collaborazione con Marevivo, ha coinvolto anche i biologi marini di Marevivo che hanno assistito alle operazioni e fatto un’attività di analisi dello stato della rete che era adagiata su un fondale caratterizzato dalle tipiche biocenosi del coralligeno Mediterraneo. Le reti spadare, va ricordato, sono dispositivi estremamente pericolosi per la fauna marina e per questo illegali, in Italia, dal 2002, ma nonostante questo continuano a essere utilizzate minacciando gli ecosistemi marini.

Insomma, se a terra le nostre spiagge soffrono a causa della presenza di rifiuti, la situazione è ancora peggiore nelle profondità marine: secondo un rapporto realizzato da Fao e Unep (2009), ogni anno in tutto il mondo vengono abbandonate o perse dalle 640.000 alle 800.000 tonnellate di attrezzi da pesca (reti, cordame, trappole, galleggianti, piombi, calze per mitilicoltura). Il Great Pacific Garbage Patch, più comunemente noto come ‘isola di plastica’, è costituito per il 46% da attrezzature e reti da pesca e anche nel nostro Mediterraneo, recenti ricerche condotte in diverse località, indicano che gli attrezzi da pesca possono rappresentare la maggior parte dei rifiuti marini registrati, con cifre che raggiungono anche l’89%.

I danni arrecati all’ambiente marino non si limitano però all’inquinamento: una volta abbandonate, le attrezzature da pesca diventano vere e proprie trappole che occupano i fondali o che, trascinate dalle correnti, continuano ad imprigionare e a pescare mettendo in pericolo la fauna e la flora marina, con il risultato che ogni anno circa 100.000 mammiferi marini e un milione di uccelli marini muoiono a causa dell’intrappolamento in reti da pesca fantasma o ingestione dei relativi frammenti.

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