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Il piccolo Eitan, il bimbo di origine israeliana unico sopravvissuto alla tragedia del Mottarone, ha ripreso conoscenza. “Poco fa il bambino è stato estubato, per un momento ha ripreso conoscenza, ha aperto gli occhi e ha trovato di fronte a sé un viso conosciuto, quello della zia” ha detto il direttore generale della Città della Salute di Torino, Giovanni La Valle, sulle condizioni di salute del piccolo.

“Il risveglio sta proseguendo ma essendo ancora sedato dai farmaci, è un po’ intontito dagli anestetici che ha in corpo”, ha proseguito La Valle sottolineando che “questa è una fase molto delicata. La notte è passata tranquilla e conferma la stabilità clinica del bambino nonostante le condizioni critiche”.

Sottolineando che accanto al bimbo, a fianco della zia ci sono gli anestesisti e gli psicologi, il dg della Città della Salute ha poi osservato: “Il fatto che siamo riusciti a estubarlo è un fatto positivo. Aspettiamo che nelle prossime ore gradualmente si possa risvegliare. Adesso la situazione è la più delicata perché c’è la graduale ripresa di coscienza che avrà bisogno di tempo”.

“Per ora è solo un risveglio parziale e la coscienza ancora non c’è”, ha aggiunto Giorgio Ivani, direttore della rianimazione pediatrica del Regina Margherita.


Da testimoni a fermati. Sono tre le persone della società che gestisce l’impianto della funivia del Mottarone – tra loro il proprietario Luigi Nerini – arrestati dalla procura di Verbania che indaga per omicidio colposo plurimo e lesioni colpose in relazione all’incidente di domenica scorsa in cui hanno perso la vita 14 persone e un bambino è rimasto ferito. Nel pomeriggio di ieri i carabinieri di Stresa hanno ascoltato sei dipendenti della società e per un paio di loro la posizione si è inaspettatamente aggravata, tanto da far scattare in serata le prime iscrizioni nel registro degli indagati e quindi, a sorpresa, le manette. Sono passati pochi minuti dopo l’1 quando l’avvocato Pasquale Pantano, difensore dell’imprenditore 56enne di Baveno, varca il cancello della caserma e intorno alle 3 arriva la conferma del finale inaspettato: due dipendenti e Nerini sono destinatari della misura di custodia firmata dal procuratore capo di Verbania Olimpia Bossi.

L’accelerazione nell’indagine arriva a 48 ore circa dal disastro ed è legata alle sicurezze crescenti degli investigatori sulle cause del disastro: se saranno dei periti a spiegare perché il cavo trainante si è spezzato, a un occhio esperto non sfugge che c’è un errore umano legato al cosiddetto ‘forchettone’, un componente in metallo che serve a tenere aperte le ganasce dei freni e va tolto quando la cabina è in funzione perché altrimenti impedisce la frenata in caso di emergenza.

Una presenza che spiega perché la cabinovia è precipitata nel vuoto per circa 20 metri, ma non perché la fune trainante si è spezzata. La manutenzione dell’impianto, ossia “i controlli giornalieri e settimanali previsti dal regolamento e dal manuale d’uso” dell’impianto spetta alle Ferrovie del Mottarone, società di proprietà di Nerini e i tecnici che lavorano per garantire la sicurezza sono i primi a finire nel mirino degli inquirenti dopo l’incidente. I fermi cozzano, però, con l’intenzione del procuratore di procedere con cautela nelle iscrizioni degli indagati e che potrebbe essere legata a una responsabilità che andrebbe oltre l’errore umano.

Procuratore, ‘quadro fortemente indiziario, fermati vanno in carcere’

Contro i tre fermati c’è un quadro “fortemente indiziario”. Lo afferma il procuratore capo di Verbania, a capo dell’inchiesta sulla tragedia del Mottarone, che ha disposto il carcere per il gestore dell’impianto della funivia del Mottarone, un ingegnere e un capo del servizio dell’impianto “persone che avevano un ruolo giuridico ed economico, cioè prendevano decisioni”.


Verbania 26 maggio – Il cavo trainante spezzato è “l’innesco della tragedia” sulla funivia del Mottarone, ma poi c’è un comportamento “consapevole e sconcertante” di chi ha preferito il guadagno alla sicurezza. Il procuratore di Verbania Olimpia Bossi è provata non solo per i lunghi interrogatori che hanno portato al fermo di un ingegnere, di un capo operativo e del gestore della funivia Luigi Nerini, ma anche dalla scoperta che “per settimane” chiunque ha messo piede su quella cabinovia era a rischio.

Una scelta “molto sconcertante” quella che i tre – ora in carcere per un quadro indiziario ritenuto “grave” – hanno portato avanti pur di evitare una riparazione adeguata del sistema frenante che probabilmente avrebbe portato a una lunga chiusura dell’impianto, le cui casse erano state messe già a dura prova dal lockdown.

“Abbiamo potuto accertare, in particolare dall’analisi dei reperti fotografici, che la cabina precipitata presentava il sistema di emergenza dei freni manomesso, cioè non era stato rimosso o meglio era stato apposto il ‘forchettone’ che tiene distante le ganasce dei freni che avrebbe dovuto bloccare il cavo in caso di rottura”, spiega il procuratore. Un malfunzionamento che i tre ignorano – c’è un intervento il 3 maggio scorso, ma poi si chiudono gli occhi di fronte ad altre spie iniziate fin dalla riapertura del 26 aprile – con la “convinzione che mai si sarebbe tranciato il cavo”.

La manutenzione di maggio avrebbe risolto solo in parte il problema quindi per evitare ulteriori interruzioni del servizio, i tre hanno scelto di aggirare le norme e impedire al freno d’emergenza di entrare in funzione.

Così poco prima di mezzogiorno di domenica 23 maggio quell’inerzia sulla sicurezza costa la vita a 14 persone. I tre devono rispondere di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose nei confronti di un bambino (unico sopravvissuto) rimasto gravemente ferito e di rimozione od omissione dolosa di cautele – punisce chi omette di collocare strumenti destinati a prevenire infortuni – aggravata se dal fatto deriva un disastro, come in questo caso.

Il numero degli indagati sembra destinato a crescere a breve. L’inchiesta deve ora cercare di appurare anche perché quel cavo si è spezzato, dando il via al primo passo di una tragedia che poteva essere evitata.

(AdnKronos)

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